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recensione di Lugli, A., L'Indice 1986, n.10
Ogni volta che uno storico della letteratura si mette ad analizzare i materiali figurativi utilizzati dagli scrittori o dai poeti la critica d'arte o la storia dell'arte trovano sempre conferme inaspettate o interessanti mutamenti di punto di vista. Questi percorsi si rendono assolutamente necessari là dove cadono le distinzioni tra i generi e l'aspirazione comune di letterati e artisti è l'opera d'arte totale. È questo momento del Gesamtkunstwerk che Lia Ritter Santini sottopone al rigoroso esercizio delle sue "Immagini incrociate", una raccolta di saggi pubblicati in Germania dal 1969 al '77, frutto dell'appassionata competenza dell'autrice sulla letteratura del primo '900. Valéry diceva che un vero scrittore deve nascondere o assorbire completamente le sue associazioni di idee. I saggi della raccolta ci danno lo smontaggio abile di un tessuto compatto in cui i ricordi figurativi galleggiano, se vogliamo, privi del liquido amniotico in cui lo storico dell'arte è solito vederli immersi: la filologia, il documento, i confronti, ma in realtà col risultato appunto di trovarli rivivificati, mutati dalla nuova contestualizzazione.
Il primo saggio, in apertura della raccolta, percorre il revival più importante della Germania tra la fine del secolo e i primi del '900, quello del Rinascimento. Una moda totale che dà lo stile all'architettura, alla pittura, alle arti applicate, alle collezioni e che passa da un decoro esteriore tutto modellato sul primo '400 a una ripresa di quella che si vuole identificare come la sua fine, un revival dionisiaco a cui si presterà bene la forma dell'Art nouveau. L'identificazione profonda tra la Germania di fine secolo e il Rinascimento italiano è preparata dagli studi di una disciplina come la storia dell'arte, che nasce proprio nell'800 e dà subito in Germania le sue maggiori prove e da un'opera fondamentale come quella di Burckhardt. La cultura degli scrittori è certo cultura di storia e di storia dell'arte. Vasari appare come una delle numerosissime letture di Heinrich Mann, che nel suo romanzo "Le dee" (1903) riprende per una delle protagoniste la vita di Properzia de' Rossi, facendone una specie di prototipo di donna scultrice, assimilato a quella di una figura a lui molto vicina: Kate Kollwitz. A Heinrich Mann e al suo romanzo del 1903 è dedicato il secondo saggio, il più ricco di coinvolgimenti figurativi. Lo scrittore racconta continuamente quadri, ma occultandone le fonti, come se lo scioglimento del rebus e della citazione raffinata fosse riservato soltanto al connoisseur. Questo esibire frammenti di storia come "objets trouvés" anticipa linguisticamente il collage dadaista e surrealista, ma anche, per più versi, la matrice monacense degli anni cruciali di De Chirico.
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