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È sterminata la materia al centro di questi atti di un convegno svoltosi a Torino nel settembre 2007 per la "XIV giornata Luigi Firpo". Viene sottoposta a serrata disamina in una ventina di contributi, volti a far luce su taluni suoi versanti di particolare rilievo, a partire dai rapporti fra madrepatria e periferia in relazione alla storia politico-sociale (realtà inglese, francese, ottomana, tedesca, italiana di epoca fascista), e da un ventaglio di concezioni scelte fra le più significative nella storia del pensiero: come quelle impostesi nell'impero austro-ungarico (oggetto di un pregevole saggio di Enzo Collotti), in Francia (le visioni settecentesche, l'assimilazionismo otto-novecentesco), o negli Stati Uniti (richiamate da Francesco Tuccari, Giovanni Borgognone e Tiziano Bonazzi, il quale inserisce la storia degli Stati Uniti nel "sistema degli Stati della Grande-Europa", cosa che gli offre alcune interessanti chiavi interpretative). Né si omette di segnalare la distanza fra le letture offerte dagli apologeti dell'impero, come Kipling, e quelle di critici come Hardt e Negri, o Paul Sweezy, il cui percorso, nella disamina marxista dei rapporti capitalismo-imperialismo, è qui molto ben evocato da Gianfranco Ragona. Realtà complessa e multiforme, quella degli imperi. Ma così come non possiamo negare che il "metro imperiale", secondo l'espressione impiegata da Giuseppe Galasso, fu sempre la "misura romana", analogamente non è sbagliato dire, come rileva Nicola Labanca, che ogni impero, per quanto lo si sbandieri fondato sull'ideale di una pace perpetua, nasce sulla guerra e si gestisce attraverso la violenza, sebbene questa non ne sia l'unica dimensione da prendere in esame.
Daniele Rocca
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