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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2004
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Delicato ed emozionante. Che bella esperienza è stata leggerlo! Lo consiglio a tutte.
E' la prima raccolta di racconti Munro che leggo, e devo dire che se pur ispirati e costruiti bene e permeati di una percepibile tristezza ed ineluttabilità non mi hanno entusiasmato nè coinvolto nè lasciato qualcosa. Mi sono sembrati fatti altrui da non partecipare più di tanto.
Tra gli elementi più significativi di questa splendida raccolta di racconti (a parte alcune questioni tecniche, come la frammentazione della dimensione temporale in sezioni alternate secondo una linea sinusoidale che ricorda non poco la struttura ad incastro del connazionale Atom Egoyan), c'è una sorta di energia che potremmo definire flaubertiana. Le donne della Munro, in massima parte, sono delle specialiste dell'oltranza, intesa come l'andare avanti nonostante le delusioni e le disillusioni, nonostante il frastagliarsi delle sponde di umanità che incontrano lungo il proprio itinerario biografico, nonostante il bilancio mai in pari con se stesse e con le proprie aspirazioni giovanili. E non ritornano alle proprie faccende per uno stupido senso di responsabilità borghese ma perché accettano la sfida quotidiana del continuare a vivere nonostante tutto, e la considerano implicitamente anche più drammatica della soluzione drastica alla Anna Karenina. Per la prima volta, inoltre, troviamo una sorta di trittico narrativo con una protagonista unica, Juliet, che oscilla tra due o tre generazioni nella faticosa ricerca di un proprio posto su questa terra, e che solo dopo un lungo e travagliato processo di accettazione dei propri limiti di figlia e di madre (esito anch'esso di una concezione oltranzistica della vita) riesce forse a trovarlo. L'ultimo di questi tre segmenti diegetici, probabilmente intitolato «Silenzio» anche per un ideale collegamento al «Tystnaden» di Bergman, è un tipico caso di "racconto perfetto" nell'accezione che Borges utilizzò più volte nei suoi testi.
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