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Alexander Kluge, la guerra incisa
di Giancarlo Alfano
Da quando, nel 2004, sono state tradotte le conferenze tenute da Sebald nel tardo autunno del 1997 sul tema Luftkrieg und Literatur (reso in italiano col più evocativo titolo Storia naturale della distruzione), anche il lettore italiano ha iniziato a prendere confidenza con quella enorme lacuna intorno alla quale avrebbe girato vorticosamente la Germania del dopoguerra: il bombardamento indiscriminato delle sue città.
Per il feroce, metodico accanimento dei piloti Alleati – soprattutto di quelli della RAF, ispirati dalla parola d’ordine di Winston Churchill: «Vendicarsi!» – gli abitanti di quelle città patirono danni ingentissimi in termini materiali e perdite indicibili in termini umani. Eppure, osservava Sebald, nonostante l’enormità della cosa, nella letteratura tedesca mancano testi che abbiano efficacemente formalizzato gli eventi in forma letteraria. E anzi, mancano testi quasi in ogni senso, se è vero che «il deficit di testimonianze coeve non fu colmato nemmeno dalla letteratura del dopoguerra che, a partire dal 1947, andava consapevolmente ricostituendosi e dalla quale era lecito attendersi lumi sulla realtà del momento».
Più attento si mostrò chi era andato via, espatriato sin dai primi anni della presa del potere da parte di Hitler oppure al momento dello scoppio del conflitto mondiale. In particolare i grandi registi: come Lubitsch, che nello splendido To Be or Not to Be (Vogliamo vivere!, 1942) realizzò quasi in tempo reale una trasfigurazione cinematografica di Varsavia bombardata; o come Billy Wilder che nella carrellata aerea iniziale di A Foreign Affair (Scandalo internazionale, 1948 – l’anno in cui apparve anche Germania anno zero di Rossellini) mise in scena una impressionante Berlino tra i cui palazzi fece muovere Marlene Dietrich, eroina della resistenza umana calata nel fitto della disperazione.
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