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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2015
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«Non sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta.»
Il libro è una autobiografia anomala, una sorta di mosaico, in cui Benjamin condensa le esperienze e la topografia della propria infanzia, ridando anima ai sogni facendo rivivere le ore e i luoghi di magia, e al contempo gli angosciosi presentimenti di un bambino ebreo nella Berlino dell'epoca. Ed è forse questa ambiguità il tratto più marcato dei trenta brani (più dodici frammenti proposti in appendice) che compongono il libro: "scavare" nell'infanzia, negli strati nascosti perduti della vita, per riattivare questa "promessa di felicità" che è patrimonio di ogni essere umano ("La fata, grazie alla quale si ha il diritto a un desiderio"), senza tuttavia dimenticare che questa possibile felicità è perennemente esposta ai venti della storia.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Se si tratti di "un'autobiografia anomala" come recita l'infelice definizione della presentazione editoriale Einaudi, io non saprei dire: se non altro perché non so come dovrebbe essere un' autobiografia "a norma"; comunque l' "Infanzia berlinese" è un testo per tanti versi enigmatico, destinato forse ad essere davvero apprezzato solo da chi gia' ha una certa familiarità con l'opera di Benjamin: scritta infatti negli anni '30 tra l'incubo della persecuzione nazista e l'acuirsi di quelle preoccupazioni economiche da cui l'Autore fu perennemente assillato, l' "Infanzia" rappresenta una realizzazione delle teorie espresse nel "Passagen-Werk" e poi nelle "Tesi di Filosofia della storia": il bisogno e il dovere di redimere il passato, di salvare i ricordi e le immagini che balenano nell' "ora del pericolo". A questo proposito l' "Infanzia berlinese" forma una vera e propria costellazione con un altro piccolo - e spesso misconosciuto - testo di Benjamin, gli "Uomini Tedeschi" (Adelphi), composto piu' o meno nello stesso periodo. Se infatti nell' "Infanzia berlinese" Benjamin recupera frammenti del proprio passato, in "Uomini Tedeschi" è il passato culturale ad essere riattualizzato: la Germania dell' `800 e la sua humanitas cosi' lontana dalla barbarie di allora (e dalla volgarità di oggi). Parlando dell' "Infanzia Berlinese" è inevitabile occuparsi del parallelo Benjamin-Proust, come fa appunto Peter Szondi nel saggio che accompagna quest'edizione: a me preme qui solo ricordare il carattere spesso onirico della prosa di Benjamin (a differenza della "clarté" proustiana) per cui il recupero della propria infanzia (e del passato in generale) assomiglia al tentativo di raccontare un sogno: e anche qui, per capire appieno questo aspetto di Benjamin, bisogna rifarsi al motivo della dialettica sogno-risveglio che attraversa come un filo rosso il Passagen-Werk.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Nella nuova collana chiamata "Letture", Einaudi ripubblica, tra gli altri, anche Infanzia berlinese nella versione apparsa nel 2001 per le cure di Enrico Ganni, che sostituiva quella, ormai molto invecchiata, apparsa nel 1973 firmata da Maria Bertolini Peruzzi. Della struttura di questo insieme di quadri narrativi, della loro gestazione, della continua revisione a cui li sottopose Walter Benjamin, fino agli ultimi fatidici anni, è inutile parlarne perché sono diventati, nella ricezione, addirittura materia da romanzo. Di buoni romanzi recenti, anche. Al lettore la possibilità rinnovata di avvicinare uno straordinario campione di come la memoria individuale si intrecci con quella familiare e pubblica, ispirata al puro piacere della lettura. Un testo insieme leggero e buio, sull'irrimediabile perdita della felicità. Camilla Valletti
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