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Un testo raro, straordinario, che ci racconta con grande acume, profondità, e soprattutto dal di dentro, il mondo arabo e le sue dinamiche. Samir, scrittore e giornalista libanese, è stato una delle voci più autorevoli della cultura araba. Troppo presto ci è stato portato via da una mano omicida.
E' un manifesto per la modernità (soc-politica) araba. Per un musulm il voto dipende da secolarizz/ottusità del lettore; per un occid è utile perché mostra che esistono pulsioni civili/moderniste e non solo l'integralismo mostrato dai media. Per chi conosce il tema c'è poco di nuovo, ma l'autore scrive al lettore comune arabo per scuoterlo e non all'occid per farsi conoscere. Per gli esiti elettorali nei paesi della ex primav.araba (hanno stravinto i partiti religiosi) temo che il processo proposto da Kassir sia molto lontano. Pnt di partenza: oggi il pens.politico arabo è diviso tra 2opz: attribuire alla cultura la responsabilità del ritardo soc-econ-politico; attribuire le responsabilità all'occid. L'autore propone una terza via: basta vittimismo [però un po' ne fa -gli arabi popolo più infelice del pianeta- molta gente sta molto peggio] ed il coraggio di modernizzare tutte le sfere della soc [ciò comporta secolarizzazione; forse per qst l'autore è stato assassinato?]; specifica che anche l'occidente dovrà rivedere i suoi paradigmi interpretativi del mondo arabo, ma il grosso del lavoro resta comunque [giustamente] sulle spalle dei popoli che devono emanciparsi. Storia e Sociol nella trattaz della Nhada/rinascita (n tentativi nel tempo) ma resta funzionale all'idea che al di là di forza/debolezza passata, non si possono reclamare prerogative in virtù di queste, ed è quindi necessario costruirsi il nuovo futuro. Se l'autore ha voluto scuotere gli animi [inimicandosi la politica] senza inimicarsi troppo la religione [non può litigare con tutti], è accettabile uno dei due difetti (mancano consideraz sugli effetti di una relig cristallizzata su un mod.sociale anacronistico), ma resta inaccettabile che l'autore non riflette sulla [nulla?] potenzialità di svl del suo progetto in un contesto di popolaz sottomessa ad una cl.dominante più o meno ovunque collusa con un clero che la legittima in cambio di prebende. Ed entrambi hanno interesse a mantenere lo status quo.
Un libro molto coraggioso, scritto con disincanto e lucidità
Recensioni
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Samir Kassir era un intellettuale palestinese nato a Beirut nel 1960. Il suo libro di riflessioni sulla crisi delle società arabe è diventato una sorta di testamento da quando è rimasto ucciso a Beirut in seguito a un attentato probabilmente organizzato da ambienti filosiriani nel giugno del 2005. Collaboratore di Le Monde Diplomatique insegnante di scienze politiche all'Università Saint Joseph ha ispirato la primavera di Beirut che chiedeva il ritiro delle truppe di Damasco dal paese dei cedri. Ed ecco il suo pensiero. L'incapacità araba di uscire dall'idea di un passato glorioso ormai perduto porta inevitabilmente all'infelicità. Questa idea impedisce di osservare i sussulti e i risvegli culturali che il mondo arabo ha attraversato anche negli ultimi anni. Si è perso molto nei confronti dell'Occidente ma i blocchi cui sono soggetti i paesi arabi sono legati alle strutture sociali ai rapporti di forza interni ed esterni e non possono trasformarsi in una difficoltà antropologica. Sono ancora possibili dei rimedi è possibile forzare il destino a patto che gli arabi abbandonino il miraggio di un passato ineguagliabile e guardino in faccia la storia e i problemi del loro mondo. Si deve porre fine alla logica culturalista dello scontro frontale relativizzando lo statuto di vittime su cui le società arabe si sono adagiate. Bisognerebbe rifiutare le tesi di Huntington e ricordare Lévi Strauss. La civiltà non è un livello da raggiungere non ci sono gerarchie naturali prefissate l'umanità è una sola e riposa su un fondamento antropologico comune. Il suprematismo non è solo bianco e coloro che nelle società musulmane aderiscono all'islam radicale finiscono prigionieri di una tecnica di attacco il cui proselitismo si conquista attraverso la definizione dell'altro come decadente.
Paolo Di Motoli
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