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Una cosa va ammessa: d'Annunzio avrà tanti difetti (anche se di certo meno di quanti se ne siano contati per lungo tempo), ma il corpus delle sue opere non pecca né per quantità né per varietà; e se la prima può rappresentare a sua volta un problema (mi viene in mente una vecchia vignetta satirica nella quale il povero Ariel, scalando a fatica una pila di proprie opere tutte diverse, cerca invano di porsi allo stesso livello di un Dante assiso sui propri pochi ma colossali capolavori), la seconda è difficilmente negabile e non mancano le formule per etichettare le fasi di una carriera lunga quasi sessant'anni, spesi tra "panismo", "estetismo", "superomismo", "intimismo" ed affini. In un percorso così lungo, fatto, come invitabile, di alti e bassi, una delle fasi più bistrattate è quella che coincide con i primi anni dell'ultimo decennio dell'Ottocento, posta suo malgrado tra il recente successo del capolavoro dell'estetismo "Il piacere" (1889) e i futuri successi della fase superomistica de "Il trionfo della morte" (1894), "Le vergini delle rocce" (1895) e "Il fuoco" (1896). Questa fase, spesso definita "di ripiegamento", nella quale d'Annunzio si avvicina alle opere del simbolismo francese e della grande narrativa russa, vede una particolare attenzione per la caratterizzazione psicologica dei personaggi e per i temi della malattia e del peccato, come risulta evidente da un romanzo quale "L'innocente", composto nel 1891 e pubblicato nel 1892. Pur non rientrando, forse, tra le opere migliori dell'autore, sarebbe ingeneroso negare la presenza di alcune pagine decisamente riuscite e il tentativo di creare uno stile più lineare di quello adottato nella maggior parte delle sue prose. Del resto, se piacque a un gigante come Proust... "Nella notte il silenzio della casa era sepolcrale. Un lume ardeva nell'andito. Io camminavo verso quel lume, come un sonnambulo. Qualche cosa di straordinario avveniva in me; ma io non ci vedevo ancora."
Amo profondamente le opere di D'annunzio e questa non é da meno. Struggente e angosciante ma allo stesso tempo meravigliosa e scritta superbamente. Uno stile che travolge e non lascia il lettore fino alla fine.
D'Annunzio è una certezza. La sua parola ammalia, se poi, come in questo romanzo, si addentra nel problema del male e della colpa, diventa ancora più appassionante e necessario.
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