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Una sorta di capricciosa e obliqua autobiografia
Nabokov aborriva le interviste. Eppure, soprattutto quando diventò una celebrità, dovette subirne alcune. Ma il lavoro di quei malcapitati giornalisti si trasformava in puro pretesto per una strepitosa reinvenzione con cui egli si proponeva innanzitutto di cancellare "ogni traccia di spontaneità, ogni parvenza di effettiva conversazione". Il risultato fu una sorta di concrezione madreporica, dove con gli anni finirono per depositarsi non tanto le idee quanto le "intransigenze" di Nabokov, come dire le reazioni della sua fisiologia di scrittore ai grandi temi (e spesso alle grandi scemenze, come l'"impegno") che vagavano per l'aria. Egli spara bordate in tutte le direzioni: dalla letteratura all'arte, dalla politica alla sociologia e alla psicoanalisi.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Malgrado la sua idiosincrasia per Dostoevskij, Mann e altri scrittori, alcune "strong opinions" che ho letto qua e là non mi hanno fatto resistere: ho iniziato a leggere le stimolanti interviste a Nabokov raccolte in "Intransigenze", libro che contiene anche diverse lettere a direttori di riviste e articoli. Sono un bel po' di pagine, ma è una lettura divertente. Non si può certo dire che tradisca le promesse. Con una mai sopita verve il geniale scrittore cosmopolita nelle interviste "scritte" che rilasciava (dandosi il massimo della libertà perché fossero il meno spontanee e il più ragionate possibile) diverte il lettore ricordando, appena può, che preferisce i particolari alle generalizzazioni, le immagini alle idee, i fatti oscuri ai simboli trasparenti.
Poche, pochissime volte l'intervista sfiora i galloni della stessa pagina d'autore. Come un fruscio di seta più che scelta a sfiorare il mento adagiato in lettura, ecco una voce che dosa rispetto e distanza e non risparmia severa franchezza su ogni questione che la investe. E' pur vero che siamo ai piani altissimi dell'Olimpo Novecentesco, fra i lussuosi saloni aristocratici di una delle menti più grandi che il destino delle lettere abbia concepito. E in effetti già il titolo mette al riparo da retoriche sciatte e sfonda le pareti del sincero non tacendo mezza virgola. C'era - è vero - anche la calma possibilità di riflettere, dal momento che domande e risposte sono per iscritto. C'era insomma la possibilità magica di rendere anch'esse letteratura. Ma che importa! E poi basta da sola questa considerazione a far uscire scalzo e seminudo (a febbraio) da casa anche il lettore più pigro, meno propenso al manufatto libro: "Vuol sapere come è nata la poesia? Sono convinto che cominciò il giorno in cui un ragazzo troglodita tornò alla caverna, correndo nell’erba alta, e urlò trafelato: «Lupo, lupo»; e non c’era nessun lupo. Senza dubbio i suoi babbuinici genitori, strenui fautori della verità, gliele suonarono, ma ormai la poesia era nata – nell’erba alta era sbocciato il primo fiore della fantasia." Ora fate attenzione alla preziosità delle parole adoperate e il modo con cui Nabokov le accosta, le calibra e le invita a farsi accanto una all'altra nel ventre studiato di un periodo. Avremo già così un abbozzo di sinfonia riuscita. Se poi il lievito sta al contenuto e nella metafora pensata, allora non c'è bisogno di andare oltre. L'elemento che poi si aggiunge al resto come condimento di grazia, origano stellato vorrei dire, è un'ironia che diventa sapienza, gusto altissimo, gioco a perfezionare con malato snobismo ogni minima giuntura. Dobbiamo accettare dal genio le sue spalle voltate, la nostra piccolezza non merita l'incontro. Ma le sue parole sono cesello imperituro.
Tra le imprese cui si accinge Nabokov, quella di ridimensionare Dostoevskij è la più commovente, proprio perchè la più titanica e votata al nulla: nessuno infatti smuoverà mai D. dal suo scranno, tantomeno il Nostro. Eppure, talune intuizioni sui difetti di D. sono gemme preziose, come quella in cui egli rileva il farraginoso evolversi di alcuni personaggi di D. rispetto a quello, molto più naturale, che avviene in Tolstoj; gli è mancato di compiere il salto ulteriore, chiarire il mistero per cui, ad onta di tutti i suoi limiti, Dostoevskij sia il più grande scrittore del mondo. Il destino non ha voluto che Nabokov fosse all'altezza di un tale compito: così, quando egli stigmatizza Raskolnikov per il suo troppo repentino trapasso da benefattore dell'umanità a tiranno con smanie di potere personale,non si accorge che è proprio questa una delle più geniali intuizioni di Dostoevskij: il " risentito" in realtà non si evolve, ma, nel medesimo istante in cui aspira alla libertà e alla giustizia, brama segretamente il potere. Anche un potere qualsiasi.
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