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Anno edizione: 1992
Anno edizione: 2021
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Contenuto: trattato logico-filosofico. Articolato, non dottrinale. Può risultare persuasivo persino per gli agnostici. Tipologia lettore: chiunque riesca a coniugare filosofia e riflessioni riguardanti il godimento della verità.
Contenuto: trattato logico-filosofico. Articolato, non dottrinale. Può risultare persuasivo persino per gli agnostici. Tipologia lettore: chiunque riesca a coniugare filosofia e riflessioni riguardanti il godimento della verità.
Un saggio straordinario che raccoglie una serie di riflessioni sulla coscienza umana. Si comincia dalla pura filosofia fino ad arrivare all'intelligenza artificiale, ai memi e ai geni egoisti di Dawkins. Pagina dopo pagina, hai l'impressione di sprofondare negli abissi della mente, cercando di risolvere l'enigma complesso: come è nata la consapevolezza, cosa ci rende consapevoli rispetto altri animali e così via. Un acquisto che consiglio ad ogni appassionato di psicologia e neuroscienze.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Marconi, D., L'Indice 1986, n. 4
Avvenne a Daniel Dennett, uno dei curatori di questo libro-antologia, di essere incaricato dal Pentagono di ricuperare una testata nucleare sepolta un chilometro e mezzo sotto Tulsa, Oklahoma. Ma poiché la testata emanava radiazioni letali per il cervello umano, si decise di inviare sotto Tulsa solo il corpo di Dennett: il cervello sarebbe rimasto nel centro di Houston, in un comodo bagno biologico, e avrebbe governato il corpo attraverso complessi collegamenti radio. L'operazione di dissociazione e ricollegamento del cervello e del corpo di Dennett, condotta magistralmente dai tecnici della Nasa, riuscì a perfezione; e subito, appena risvegliato dall'anestesia Dennett fu preso dalla curiosità di vedere il suo cervello, che infatti se ne stava lì "sospeso in un liquido che pareva birra", coperto di circuiti e tubicini e altro. Senonché Dennett, essendo filosofo "di salda fede fisicalista" e pertanto abituato ad identificare Io, anima e mente col cervello, restò colpito dalla formulazione che aveva dato alla sua curiosità. Non avrebbe dovuto dire che desiderava essere visto dal suo corpo, e non che desiderava vedere il suo cervello? Eppure, questa formulazione gli risultava innaturale e poco convincente. Chiamando - appropriatamente -"Yorick" il cervello di Dennett e "Amleto" il suo corpo, dov'era Dennett? In Amleto no: se scambio il mio cervello con quello di un altro, io sono nel corpo dell'altro (basta domandarlo: sarò il corpo dell'altro a dire di essere Diego Marconi, ad avere i ricordi di Diego Marconi, ecc.). In Yorick, allora? Nemmeno, a quel che pare: sembrava naturale a Dennett dire di star osservando il proprio cervello, di essere in procinto di partire per Tulsa ecc.; tutte attività svolte da Amleto, non da Yorick. Restava che Dennett fosse dove pensava di essere, cioè dove si trovava il suo punto di vista. Oppure che fosse contemporaneamente in Yorick e in Amleto: nel bagno biologico e seduto sullo sgabello a guardare il bagno stesso, e più tardi a Houston e a Tulsa.
Avvenne però m seguito che, mentre il corpo di Dennett si trovava sottoterra a Tulsa, intento a ricuperare la testata nucleare, tutti i collegamenti radio tra Houston e Tulsa si interruppero: Dennett divenne sordo, poi muto, poi cieco; e si ritrovò quindi a Houston, nel bagno biologico, mentre un istante prima era un chilometro e mezzo sottoterra in Oklahoma. "Mi venne in mente - commenta Dennett - che mi ero imbattuto in una straordinaria dimostrazione dell'immaterialità dell'anima basata su premesse e principi fisicalisti. Infatti... non avevo forse cambiato ubicazione da Tulsa a Houston alla velocità della luce? E non avevo forse compiuto ciò senza alcun aumento della massa? Ciò che si era spostato da A a B a quella velocità ero certamente io, o comunque la mia anima o la mia mente".
Non finiscono qui le vicende di Yorick, di Amleto e dell'identità di Dennett. Ma questa parte del racconto (che è il celebre "Dove sono?" incluso in questa antologia) basta a dare un'idea della natura di molto del materiale compreso nell'"Io della mente" ("The Mind's I": il gioco di parole con "l'occhio della mente", che motiva la copertina magrittiana
dell'edizione originale, si perde irrimediabilmente nella traduzione italiana). Questo è, infatti, un libro di esperimenti ideali, intorno a "realtà" come l'Io, la mente, l'anima, il cervello, su cui è difficile, per varie e diverse ragioni, condurre un altro tipo di esperimenti. Gli esperimenti ideali sono stati usati sempre anche in scienze più "dure" della scienza cognitiva, e spesso utilmente: Dennett stesso ricorda (p. 440) 1'esperimento (ideale) della torre, che permise a Galileo di confutare l'ipotesi che gli oggetti pesanti cadano più velocemente di quelli leggeri. Condurre un esperimento ideale significa immaginare una situazione con certe caratteristiche, e "vedere che cosa succederebbe" in una situazione siffatta: cioè, fuori di metafora, cercare di dedurre altre caratteristiche della situazione da quelle che si sono immaginate. Per esempio, nel racconto di Dennett il primo scenario (Yorick nel bagno biologico, Amleto seduto di fronte a lui a contemplarlo) serve a confutare un fisicalismo ingenuo sul problema del rapporto mente/cervello: perché in quella situazione Dennett non direbbe - da fisicalista - di essere guardato dai suoi occhi, ma di star guardando il suo cervello.
Un altro esempio del procedimento. C'è chi sostiene che la sofferenza è altra cosa dai comportamenti tipicamente associati al dolore (emettere certi suoni, piangere, muoversi in un certo modo ecc.): la sofferenza è un'esperienza interiore, e perciò una macchina ne sarebbe incapace, per quanto fosse in grado di simulare il comportamento del dolore. Per confutare questa coppia di tesi, l'autore di "L'anima dell'animale Modello III" immagina una specie di scarabeo di metallo, capace di gemere, di sanguinare e di esibire altri comportamenti zoomorfi; e fa vedere che anche il più accanito antibehaviourista sarebbe incapace di arrestare con la violenza (di "uccidere") una simile macchina. Ma come negare la capacità di soffrire ad un essere che suscita in noi le reazioni (di compassione, di rispetto, di soccorso) tipicamente prodotte dalla sofferenza altrui?
Quest'ultimo è un buon esempio di come gli esperimenti ideali siano difficili da controllare quanto quelli reali: la descrizione della situazione immaginaria che si vuole analizzare può pregiudicare l'analisi, esattamente come il "setting" di un esperimento reale può influenzarne illegittimamente il risultato. In questo caso, come nota Hofstadter nel suo commento, è chiaro che il vocabolario zoomorfico usato per descrivere il comportamento della macchina ("macchina indifesa", "mesto ammiccare di luci", "debole gemito lacrimoso") conferisce credibilità alla reazione di solidarietà dei personaggi umani del racconto.
Quello di cui stiamo parlando è un racconto di fantascienza, e ce ne sono parecchi altri nell'"Io della mente". Non a caso: se buona parte della letteratura può essere letta come resoconto di esperimenti ideali sull'umanità, la fantascienza in particolare tratta di quegli esperimenti in cui si alterano le condizioni di esistenza della specie umana nel cosmo in quanto sono determinate dall'effettivo sviluppo della tecnologia, senza peraltro modificare, almeno nell'essenziale, l'immagine scientifica del cosmo (e in questo sta, mi pare, la differenza tra "science-fiction e fantasy"). Quindi è naturale che gli scrittori di fantascienza abbiano condotto esperimenti basati su vertiginosi sviluppi dell'informatica e delle biotecnologie, che renderebbero possibili cervelli artificiali, persone artificiali, o addirittura micromondi artificiali (come in "Non serviam", del mortifero Stanislaw Lem).
Su questi temi, il confine tra filosofia e fantascienza è labile: e la fantascienza di questo genere piace ai filosofi, perché è un po' la versione ludica del loro lavoro. Naturalmente non sempre c'è corrispondenza tra qualità letteraria e interesse degli esperimenti ideali rappresentati: infatti la fantascienza qui inclusa è, a me pare, di qualità non eccelsa, e dà l'impressione di essere stata selezionata con criteri filosofici più che letterari. La presenza di Borges, prezzemolo della fantascienza "highbrow", non aggiunge granché. Nell'Io della mente i testi più belli non sono quelli letterari, ma alcuni saggi filosofici. Per esempio il mirabile "Dio è taoista?" di Smullyan, dialogo tra Dio e il mortale sulla desiderabilità del libero arbitrio; o l'ormai famoso "Calcolatori e intelligenza" di Alan Turing. In questo saggio si propone un test per sostituire la domanda se le macchine siano in grado di pensare. Mettiamo di far conversare una macchina ed un uomo (l'uomo non può vedere la macchina, naturalmente): c'è una macchina capace di ingannare l'uomo, facendogli credere di star conversando con un altro uomo (o donna)? Un saggio di Hofstadter discute a lungo, e m maniera interessante, questo test di Turing. Ma un'obiezione importante è proposta, di passaggio, dallo stesso Turing: il test è troppo sfavorevole alla macchina: "non potrebbe darsi che le macchine si comportino in una maniera che non può non essere descritta come pensiero, ma che è molto differente da quanto fa un essere umano?" (p. 63).
Per riprendere un esempio di Seymour Papert, il volo degli aerei è cosa assai diversa dal volo degli uccelli, ma a nessuno verrebbe in mente - oggi - di dire che "volare", in senso stretto, è solo ciò che fanno gli uccelli. Allo stesso modo, io credo, quando avremo a disposizione programmi migliori di quelli esistenti, e forse una tecnologia un po' superiore, ci abitueremo a dire che i calcolatori pensano, senza preoccuparci troppo che facciano esattamente quello che facciamo noi, o che siano capaci di ingannare un interlocutore ignaro.
La fantascienza viene a volte accusata dai rigoristi di proporre esperimenti mentali prevaricatori, perché si immaginano situazioni che in realtà non sono immaginabili: sono impossibili, e perciò non se ne può ricavare nessuna conclusione interessante, o qualsiasi conclusione. Per esempio, non è possibile riprodurre, in un libro di cento miliardi di pagine, la condizione di un cervello, neurone per neurone e collegamento per collegamento, e il modo in cui una determinata scarica di un determinato neurone modifica tutti gli altri; e comunque un libro del genere non sarebbe consultabile. Quindi l'esperimento proposto in "Conversazione col cervello di Einstein* è fittizio. Questi problemi, legati al concetto di impossibilità (fisica? logica? c'è un confine netto tra le due?), sono spesso discussi nelle "Riflessioni" che Dennett e Hofstadter fanno seguire ai testi della loro antologia; e portano a diffidare degli esperimenti ideali quelli che concepiscono la scienza "come raccolta di formule matematiche precise, di esperimenti meticolosi, di vasti cataloghi di specie e generi, di ingredienti e di ricette" (p. 439). Questa immagine della scienza è una favola per filosofi (e scienziati) bisognosi di granitiche certezze (o di comodi bersagli polemici, se di simpatie spiritualistiche). D. e H. credono negli esperimenti ideali perché credono nel ruolo dell'immaginazione nella scienza; ma non mancano di criticare ciascun singolo esperimento, e ribadiscono infine che "se vogliamo che le speculazioni si mantengano oneste, dobbiamo ricorrere ai metodi rigorosi della scienza solida: gli esperimenti, le deduzioni, le analisi matematiche" (p. 441). La fantasia è la levatrice della scienza, ma il rigore è la sua balia, o istitutrice tedesca. È, in fondo, questa tensione tra immaginazione e controllo, fantasia e analisi, a costituire il merito e il fascino dell'"Io della mente" (come già di "Gödel, Escher, Bach" di Hofstadter): c'è da essere lieti che le tematiche della filosofia della mente, suscettibili di essere trattate con faciloneria cialtrona o con estenuante acribia, abbiano avuto, in Italia, un'introduzione di questa qualità. Un solo appunto alla traduzione, in generale molto buona: a p. 63 il Re del calcolatore-giocatore di scacchi dov'essere in e3, non in c3, altrimenti, alla mossa successiva, non è possibile lo scacco matto.
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