La Casa Editrice Einaudi ha pubblicato, nell'eccellente traduzione di Fabio Salamoni, uno dei capolavori dimenticati della letteratura turca, L'Istituto per la regolazione degli orologidi Ahmet Hamdi Tanpınar (1900-1964). Come ha scritto Orhan Pamuk in Istanbul, Tanpınar è al contempo l'anello di congiunzione tra la letteratura turca moderna e l'alta tradizione ottomana e il pioniere del romanzo di avanguardia, nonché il precursore delle estetiche sperimentali che dagli anni ottanta hanno dominato la narrativa turca. Egli inoltre è il primo, nell'ambito di una letteratura di fatto prodotta dalla modernizzazione, ad avere riflettuto su tale processo e sul rapporto tra la soggettività moderna e la memoria individuale e collettiva. La tradizione cui apparteneva Tanpınar tentava, nell'atmosfera di inizio secolo, una sintesi colta e cosmopolita delle poetiche orientale e occidentale, ispirata da una parte dall'avanguardia francese, e dall'altra dai nascenti sentimenti nazionalistici. Negli anni venti, Mustafa Kemal Atatürk, il padre della Repubblica, avrebbe subordinato la costruzione della nazione a una radicale discontinuità storica con la tradizione musulmana e imperiale, spingendo intellettuali come Tanpınar ai margini dell'emergente canone politico e letterario. La nazione turca si fondava non tanto sulla continuità di un'esistenza storica, culturale e linguistica, quanto su di un futuro progettato all'interno della moderna civiltà occidentale. Per realizzare ciò la leadership repubblicana intraprese un radicale programma di trasformazione, sostituendo, con rigorosa cura per il nuovo ed il moderno, abbigliamenti, usi, costumi tradizionali che fino a quel momento avevano governato la vita quotidiana e concorso a configurare le identità personali e collettive. Una nuova narrazione storica avrebbe marginalizzato l'impronta islamico-ottomana; l'introduzione dell'alfabeto latino condannato all'oblio la plurisecolare produzione culturale imperiale; la purificazione della lingua dagli elementi lessicali e sintattici dell'arabo e del persiano distrutto la ricchezza linguistica dell'universalismo ottomano, per trasportare velocemente la Turchia nella modernità il calendario musulmano sostituito da quello Gregoriano. Il tempo cominciò ad essere scandito al ritmo occidentale e divenne un valore stimabile in denaro. L'Istituto per la regolazione degli orologi è una straordinaria rappresentazione satirica di questo processo di trasformazione. La voce narrante del romanzo pubblicato nel 1961 è Hayri Irdal, un anti eroe, un concentrato di buon senso, che finisce per essere travolto dalla potenza con cui la narrazione riesce ad imporsi facendosi realtà, a tal punto che non ci sono azioni che possano contrastarla. La difficoltà a rassegnarsi ai tempi e a non intestardirsi a cercare connessioni tra passato e presente lo condanna a un'esistenza grigia, segnata dall'emarginazione e dalla disoccupazione. Il protagonista è percepito da chi gli sta attorno, come un idealista, un pessimista, un individuo ancorato nel passato. L'indole pigra e eternamente attratta da coloro ai quali attribuisce maggiore carisma e forza di volontà rispetto a se stesso, combinata con le convenienze del momento, sottomette Hayri Irdal di volta in volta a una nuova guida; al maestro orologiaio dell'adolescenza, che lo aveva introdotto alle ipotesi sul tempo e sulla sua misurazione, segue, negli anni di giovinezza, il dignitario ottomano decaduto. Per l'incapacità, contro ogni evidenza, di abbandonare per tempo quest'ultimo subirà una condanna e diventerà il primo paziente del dott. Ramiz, che sta introducendo in Turchia la psicoanalisi appresa durante un soggiorno viennese. Questi presenterà il protagonista a Halit il Regolatore, maestro di manipolazione, che ne modificherà per sempre il destino, facendone un manipolatore. Non appena Hayri Irdal indossa il vestito, dono del nuovo benefattore, vede la sua "esistenza cambiare radicalmente". Comincia a guardare "alla vita da una prospettiva globale come lui .. a usare espressioni come 'co-ordinamento', 'organizzazione del lavoro' ... a definire la propria mancanza di volontà con parole quali 'inevitabilità', 'impossibilità', a stabilire confronti imprudenti tra Oriente e Occidente, ... a soppesare gli uomini con uno sguardo che significa 'A cosa possono servire?', e a vedere la vita come un impasto da lavorare nel proprio mortaio". Senza Hayri Irdal non esisterebbe il fantomatico Istituto per la regolazione degli orologi. Diventato uomo di successo, ricercato e amato da tutte le donne che prima erano irraggiungibili creature da servire, accetta e promuove la menzogna come verità, fino a rendere l'Istituto "il frutto della propria vita". Scrive la posticcia biografia di uno sceicco inventato, Ahmet Efendi il Tempistico, ("Tutto ciò che ha un nome esiste!" dice Halit il Regolatore) al quale il genio di Halit attribuisce con due secoli di anticipo la scoperta delle frazioni di secondo di Graham: "Ahmet Efendi il Tempistico è una necessità del nostro secolo e ha soddisfatto questa necessità verso la fine del diciassettesimo secolo". L'intera funzione dell'Istituto, descritto come "una pietra miliare della burocrazia per nome, compiti e forma organizzativa", è quella di focalizzare l'attenzione del pubblico su un eterno e isolato presente: "la storia è agli ordini del presente" Hayri Irdal trova fama e benessere accettando di vivere in un mondo senza connessioni; un'esperienza che, considerata in retrospettiva, appare un incubo. Ayse Saracgil
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