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Anno edizione: 2022
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Se c'è un'accusa che si sente fare, spesso a ragione, alla musica leggera italiana, è quella di non riuscirsi a staccare nettamente dalla tradizione, dal bel canto, dal discorso orecchiabile e commerciabile. Eppure in certi anfratti del pop nostrano mainstream qualcosa è accaduto: microrivoluzioni ad opera di audaci che tentavano di districarsi dalla stretta delle proprie radici, manovre ardimentose per arrivare alla gente fregandosene dell'etichetta, provando nuove strade a proprio rischio e pericolo, accollandosi il fallimento degli esperimenti di laboratorio. Al Bano e Romina, Scialpi, Cicciolina, i Matia Bazar, Giuni Russo, Battiato, Rettore, i Krisma, Nada, Ivan Cattaneo, Maria Sole... Questi sono solo alcuni degli artisti raccontati da Stefano Di Trapani, meglio conosciuto come Demented Burrocacao: eroi disobbedienti (o forse schiavi liberati) dell'industria musicale che sono diventati sciamani, veggenti, esploratori dello spazio-tempo, e hanno trasformato le radio pagate profumatamente dalle multinazionali discografiche in un paradossale veicolo di insurrezione. «Chi va in cerca del futuro è un uomo fuori dal suo tempo», cantava Edoardo Bennato, forse intendendo che i destinatari dei messaggi di rivolta non erano gli ascoltatori di quell'epoca: eravamo noi, i giovani e i meno giovani dell' «anno che verrà». Facciamo ancora in tempo ad ascoltare.
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Il libro analizza l’opera di alcuni interpreti che negli anni ’70 e ’80, sfruttando le novità tecnologiche della musica elettronica, hanno tentato di percorrere una terza via fra tentazioni neomelodiche e manierismo cantautoriale, dividendoli in sette categorie: Cosmodistopie, Futururbani, Avantambigui, Futuramazzoni, Hyperpop prima di te, Visionari, Outsider preveggenti. Non è sempre chiara la ratio di certe inclusioni (Ilona Staller, Pupo, Orietta Berti) ed esclusioni (Vasco Rossi, Renato Zero); ma la rassegna non ha pretese di esaustività, concentrandosi su nomi (e album) esemplari. L’autore ha una cultura enciclopedica e una scrittura godibilissima: è particolarmente toccante il tributo ai Matia Bazar, ma si trovano anche ritratti puntuali di personaggi insospettabili come Laura Luca e Flavia Fortunato e una doverosa rivalutazione del Pappalardo di “Oh! Era ora”. Un libro che si legge con piacere.
Partiamo dal presupposto che qualsiasi opera atta a far conoscere musica non scontata sia comunque meritoria. Qui però l'idea iniziale viene immediatamente diluita dalla difficoltà intanto nel capire che criterio sia stato usato per scegliere i dischi di cui parlare (possibile mettere nello stesso calderone le opere sperimentali di fine anni 70 con Pupo?), dato che ad un certo punto sembra che, a sola discrezione dell'autore, qualsiasi album di suo gradimento che avesse una tastiera o la parola "futuro" diventa roba che parla, appunto, di mondi lontanissimi (cit.). Ok, ma che c'entra Orietta Berti? Albano e Romina? Il secondo appunto è l'esagerata serie di paragoni e metafore musicali che rimandano a soggetti non particolarmente noti, scritti forse più per mostrare quanto si è acculturati che non per dare una reale mano al lettore nel illustrare di cosa si parli. Tradotto: se per spiegare cosa sia un disco lo paragono ad un altro ancora più ostico, che vantaggio se ne trae? Se per spiegarti una frase in svedese te la traduco in danese (ipotizzando un non sapere le lingue scandinave), a che serve? Alla fine sarebbe stata utile anche solo una playlist su album consigliabili, che non tante inutili masturbazioni mentali.
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