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In genere si riscontrano due tipi di approcci all'opera di James Joyce, esemplificabili nelle Weltanschauungen di due figure chiave dell'universo narrativo joyciano: Stephen Dedalus e Leopold Bloom. La visione "Dedalus" è concettuale, introspettiva e autoreferenziale, la visione "Bloom" è aperta, interdisciplinare e simpatetica. Usualmente i rappresentanti della prima non sono dotati di senso dell'humour, che è invece il tratto caratteristico dei fan di Bloom.
Andrew Gibson appartiene senza dubbio alla prima categoria, ovvero a quella dei "dedalusiani". Assieme a Shakespeare, Joyce è l'autore che più alimenta la produzione saggistica mondiale, e Gibson è ben cosciente degli effetti deleteri di questa sovraproduzione critica, ma ammette l'urgenza di voler mettere in discussione la tesi che vede in James Joyce uno dei massimi rappresentati del modernismo internazionalista. Secondo l'autore, le intenzioni che mossero Joyce a scrivere opere come l'Ulisse non sono da ricercare nella spinta alla sperimentazione sollecitata nello scrittore dalle esperienze e dagli impulsi cosmopoliti e multiculturali che ebbe a Trieste, Zurigo e Parigi, quanto piuttosto nella sua volontà di rileggere la storia del proprio paese, l'Irlanda, che abbandonò in volontario esilio nell'ottobre del 1904 e che, secondo Gibson, fu e rimase l'unico autentico oggetto del suo interesse, da Gente di Dublino fino all'ultima riga di Finnegans Wake.
Andrew Gibson, inglese, professore di teoria e storia della letteratura moderna all'Università di Londra, è membro della popolosa comunità dei joyciani, fa parte dell'International James Joyce Foundation, del comitato di redazione dell'esclusivo "James Joyce Quarterly" e nel 2002 ha pubblicato Joyce's Revenge: History, Politics and Aesthetics in "Ulysses" (Oxford University Press, 2005). Stephen Dedalus – il personaggio joyciano più autobiografico (ma non tanto da essere definito, come fa Gibson, l'alter egodi James Joyce) – risulta quindi essere la figura più consona per illustrare le tesi dell'autore. È infatti in Dedalus. Ritratto dell'artista da giovane che, ad esempio, appare evidente l'importanza che ebbe per lo scrittore irlandese il mito di Parnell, il "re senza corona" del popolo irlandese. Le elucubrazioni di Stephen, un giovane poeta disilluso, non riguardano infatti solo la filosofia, la religione o l'estetica, ma anche e soprattutto "la storia" che, come dichiara nell'Ulisse, "è un incubo" da cui cerca di destarsi. E in effetti le vicende complesse e contraddittorie della storia dell'Irlanda sono davvero un incubo, un paese segnato dalla violenza, occupato e soggiogato dal dominio britannico per secoli, spesso diviso nella ricerca di una possibile autonomia (come dimostra la lunga diatriba sulla Home Rule), e che infine si consegnò a un governo bigotto e razzista che era quanto di più lontano Stephen avesse mai immaginato quando abbandonò Dublino con l'idea di "forgiare nella fucina della mia anima la coscienza increata della mia razza". Il saggio "dedalusiano" di Gibson finisce così per offrire una lettura riduttiva dell'opera di Joyce, che non è certamente solo una riflessione sulla storia irlandese.
Elisabetta d'Erme
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