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Non il migliore romanzo di Hardy; la vicenda è interessante nelle ricostruzioni storiche del contesto è nell'ambientazione ma la storia non convince del tutto e si finisce per restare avviluppati nel senso di fallimento del protagonista maschile, su cui sembrano concentrarsi tutte le sfortune dell'universo; la protagonista femminile, quasi suffragette ante litteram, non è ben catatterizzata, presentando aspetti contraddittori in più situazioni. Un romanzo che lascia immotivatamente l'amaro in bocca e nessuna speranza.
Sono partita con una grande aspettativa su questo libro, dato la fama dell'autore. Jude è un ragazzo che sogna la città, la cultura, e identifica tutto ciò in Christminster, la città appena oltre la sua collina immaginaria, il confine netto dal passato a quello che può diventare. Purtroppo la sua strada viene bruscamente interrotta da Arabella e le sue fossette artificiali, che lo rovinano irrimediabilmente. E Sue... non lo so, ho sempre pensato che i personaggi di Hardy siano stati appositamente per patire le sofferenze peggiori di questo mondo. Finale indegno per un personaggio che ai giorni nostri verrebbe definito come uno zerbino d'uomo. Nella media, non è un brutto libro, perché nonostante le critiche l'ho letto velocemente e apprezzato... con riserva.
Jude sognava la città. Era questo pensiero che lo teneva vivo nella cupezza della casa di campagna della bisbetica zia e del suo disamore. Il miraggio di Christminster, città universitaria brulicante di dotti e teologi, che lo attraeva come Marte la sonda Schiaparelli. Voleva imparare greco e latino, ma anche qualcosa di più vivo; insomma il sacro fuoco dell'erudizione avvampava il cervello di Jude lo sfigatello, almeno fino a che non venne offuscato dai nastrini e dai baci di Arabella... Thomas Hardy scrive magnificamente questa storia amara - puntellata dai versi di Barnes, Shelley e Browning - a metà favoletta alla 'Once upon a time' e a metà 'Of Human Bondage', che si legge piacevolmente e lascia, ai posteri inconsapevoli, l'idea molto chiara delle inquietudini, degli aneliti di libertà ed emancipazione dall'asfissiante e schiacciante fardello delle convenzioni vittoriane generatrici di dubbi, conflitti insanabili e laceranti, nonché portatrici di profonda infelicità: "Cosa diranno i posteri quando guarderanno indietro ai barbari costumi e alle superstizioni dell'epoca in cui abbiamo avuto la disgrazia di vivere?" Ora che abbiamo sciolto quei dubbi, superato i conflitti e sanato le lacerazioni, che cosa potremmo onestamente dire sulla nostra felicità a Jude e a Sue?
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