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scheda di Bobbio, L., L'Indice 1997, n. 4
Quando si discute su come migliorare i servizi pubblici, capita spesso che, dopo aver passato in rassegna i possibili interventi sulle regole, gli incentivi, le strutture organizzative o retributive, qualcuno arrivi a dire sconsolatamente che "in realtà il problema è la cultura dei dipendenti". Come dire che se ne riparlerà, se va bene, tra venti o trent'anni.
Tatiana Pipan ha provato a prendere sul serio questo luogo comune, pessimista e dilatorio, ed è andata a vedere in tre uffici romani ad alto contatto con il pubblico - la segreteria di una facoltà universitaria, un ufficio decentrato dell'anagrafe e un reparto ospedaliero - quale tipo di cultura circola tra gli impiegati. Le sorprese sono state numerose. Innanzi tutto l'autrice ha constatato che la cultura non è un dato immodificabile e che non dipende dalla natura delle mansioni. In uffici che svolgono un analogo lavoro di sportello gli utenti possono essere visti come nemici, ma possono anche essere considerati come soggetti da proteggere e indirizzare. E soprattutto si può cambiare: un ufficio che aveva impostato le sue relazioni con gli utenti sulla base del "frame" amico-nemico, ha poi sviluppato un approccio più cordiale grazie all'intervento di un leader che ha saputo dare un nuovo significato al lavoro collettivo. La cultura degli impiegati si definisce e si trasforma nel corso del lavoro stesso e delle interazioni con gli utenti: "Le organizzazioni hanno molte credenze e idee su se stesse e perciò creano spesso in prima persona i limiti e le situazioni problematiche (...) [ma] se si accetta che è proprio nelle pratiche quotidiane che gli attori organizzativi attivano il processo di cambiamento, esso risulterà possibile".
Si tratta di una conclusione importante e non scontata. I (numerosi) riformatori della pubblica amministrazione italiana continuano ad avere una visione troppo meccanicistica del mutamento e troppo punitiva nei confronti di coloro che comunque dovranno metterlo in pratica. E spesso finiscono per provocare reazioni di resistenza e di arroccamento tra i più diretti destinatari. L'analisi di Tatiana Pipan suggerisce invece che "attraverso l'attivazione di una cultura della libera iniziativa condivisa sarebbe possibile liberarsi dalle costrizioni che esistono nell'amministrazione: ciò che conta è la continua sperimentazione di pratiche nuove e la memorizzazione di soluzioni di successo". L'importante è non assumere come obiettivo esclusivo la qualità del risultato, ma di guardare soprattutto all'insieme delle identità nuove, credenze, valori, comportamenti condivisi. È in questo ambito che il cambiamento locale diventa possibile (anche senza grandi interventi di ingegneria istituzionale o organizzativa).
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