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"Che la verità abbia maggior valore dell'apparenza non è nulla più che un pregiudizio morale..."
Friedrich Nietzsche
Chi è l'individuo? Che cosa può dare senso e ragione all'esistere?
"Io sono un prototipo, una realizzazione esclusiva della natura. O del dio creatore. O di chi altro si voglia. A me importa sapere che io vivo producendo rappresentazioni soltanto mie e questa è la sola motivazione che ho di vivere, di crescere, infine di morire": forse questa frase-confessione ben spiega il significato della ricerca che il primo romanzo di Eugenio Scalfari cerca di compiere nel rappresentare l'interiorità dell'uomo, il suo rapporto con la vita e, soprattutto, con la morte.
La morte è il tema che apre e chiude il volume: prima attraverso il sogno, infine come processo consapevole di distruzione dell'individualità. Quasi al centro del romanzo la teatrale morte del "patriarca" da lui preparata, nella scenografia, come una vera e propria rappresentazione che vedesse in scena tutti i membri della famiglia. Il mondo in cui vivono, amano e muoiono i vari personaggi è un labirinto: l'immensa casa e tutto ciò che la circonda e che vi è man mano costruito è un territorio che pochi sanno attraversare in modo consapevole, un territorio simbolico. Il simbolo classico del labirinto è la perfetta collocazione della vicenda, più interiore che fattuale, che costituisce la "trama" del romanzo. Tutto il romanzo comunque è denso di frequenti simbologie e "citazioni", dalle più esplicite (forse particolarmente evidenti nel capitolo dedicato alla città tecnologica e all'attentato terroristico), a quelle più sottili e più dotte che costellano i momenti di riflessione di Andrea (il nipote di don Cortese Gualdo, il patriarca) o di Stefano (il figlio, forse specchio dell'autore stesso).
Figure di uomini e di donne costellano il racconto, condotto in prima persona da Andrea; donne e uomini che soffrono, amano, vivono all'interno di questo mondo chiuso, con lo sguardo spesso rivolto all'interno. Uno sguardo capace di analizzare anche le sensazioni più fisiche, siano le vertigini della scoperta della propria sessualità, o la consapevolezza dell'inizio della morte causata da un cancro che divora lentamente il corpo.
Il libro non propone un'etica universalmente valida, l'unicità dell'individuo presuppone anche questo, e forse anche il sotteso riferimento a Nietzsche: l'amore non è certo fedeltà a un solo partner, la menzogna è una delle forme della verità, la felicità è speranza e rinuncia nello stesso tempo.
Lo "spirito sottile" di Scalfari si rivela anche nella ricerca stilistica che alterna modalità narrative classiche, dense anche di un'aggettivazione volutamente arcaica, a "flussi di coscienza" di joyciana memoria, e a sperimentalismi tecnici anche di tipo grafico (la pagina piena di spazi bianchi, la ripetizione della "e" a inizio riga a fissare il susseguirsi dei concetti, ecc.).
Romanzo quindi, o testo da maître à penser? Sicuramente il cammino, il percorso interiore di un intellettuale come Eugenio Scalfari che non mimetizza la sua "matura saggezza", la sua "lucida ragione".
A cura di Wuz.it
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