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Un poema narrativo in endecasillabi sciolti. Il testo riporta sia il testo originale in lingua inglese che la traduzione in italiano. Una storia che ti lascia incantato quanto i personaggi di Keats. Mitologia, romance e fantasia in un'unica opera. Se l'autore non vi piace questa opera ve lo farà piacere, se vi piace già ve lo farà adorare. Edizione arricchita da un valido apparato critico, lunga introduzione e numerose note.
Recensioni
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scheda di Bacigalupo, M., L'Indice 1998, n. 3
Edita nel 1820 nel volume "Lamia, Isabella, The Eve of St Agnes and Other Poems", quando Keats aveva venticinque anni, "Lamia" è un'opera della maturità creativa del poeta, un poemetto narrativo di 700 versi che racconta l'amore della strega Lamia per Lucio, bel giovane di Corinto: amore perfetto destinato a perire all'apparir del vero, quando il filosofo Apollonio rivela che la bella giovane è in realtà un serpente incantatore. Tanto il tema quanto lo svolgimento suscitano la nostra ammirazione. Keats è un poeta sognante, si veda l'avvio: "Una volta, prima che la stirpe delle fate / cacciasse Ninfe e Satiri dai boschi rigogliosi, / prima che il re Oberon, col suo diadema splendente, / e il suo scettro e il mantello fermato / da una gemma di rugiada, Driadi / e Fauni spaventasse in fuga / dai giunchi verdi, dalle fitte felci, dai prati / sparsi di primule - ardendo il sempre amante Hermes, / il suo trono dorato lasciò vuoto, / risoluto ad un furto d'amore". Un periodo fiabesco e sinuoso, che congiunge la complessità di Milton all'incanto di Shakespeare. Ma Keats è anche un contemplatore profondo dei processi del reale, dell'entropia. La chiusa suona infatti: "Accorsero attorno all'alto letto gli amici, / tentarono di sostenerlo, / ma senza un battito di polso, un alito vitale / avvolsero il suo pesante corpo / nel manto nuziale". Silvano Sabbadini (1943-96) ha affrontato l'impresa disperata di tradurre questa poesia dove la sonorità è tutto, per quanto retta dalla narrazione. Come si vede dalle citazioni ha reso i distici di Keats con versetti di diversa lunghezza, ricchi di enjambement (piuttosto estranei alla tessitura dell'originale), dandoci così una ricreazione che diverge nella forma mentre ricalca scrupolosamente il significato del testo. È un'indicazione di metodo, discutibile ma affascinante. Nella sua traduzione del 1981 ("Poesie", Utet), Augusta Grosso aveva scelto una misura più regolare: "Una volta, prima che la progenie delle fate / cacciasse Satiri e Ninfe dai fiorenti boschi, / prima che il diadema luccicante di re Oberon...". La versione "d'autore" di Sabbadini si distingue dalle precedenti anche nello scrupoloso apparato di lettura, com'è del resto buona consuetudine della collana. L'introduzione ha un taglio molto teorico, caratteristico del compianto Silvano, ed è suddivisa in capitoletti dai titoli emblematici: "Nomi", "La politica dell'immaginazione", "Una economia del desiderio", "Gli occhi". Sabbadini non esita a leggere la dialettica della merce in quelli che sembrano i puri svaghi della Reggenza, e conclude che "la lezione del poemetto keatsiano (...) mostra come anche le zone più apparentemente sottratte al sociale ne internalizzino le tensioni inscrivendole nella propria forma". Quest'edizione di addio congiunge i due aspetti del lavoro di Sabbadini: la traduzione-poesia e la critica dell'ideologia.
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