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YOURCENAR, MARGUERITE, Lettere ai contemporanei
SARDE, MICHèLE, Vous, Marguerite Yourcenar. La passion et ses masques
recensione di Di Maio, M., L'Indice 1996, n. 1
Che un artista, soprattutto negli scritti autobiografici e personali voglia lasciare un certo ritratto di sé, orientando in un certo senso le attese dei lettori futuri, è cosa che non può stupirci. Così, non ci stupisce l'immagine di Marguerite Yourcenar ottantenne che, nel dorato esilio americano di Mount Desert, sceglie e seleziona con cura, aiutata dalla sua collaboratrice e compagna Grace Frick, le lettere da destinare alla pubblicazione (che coprono più di settant'anni della sua vita). Tutto ciò, dopo altre cernite e altre selezioni, conservando annotazioni marginali e aggiungendone altre (anche di mano della Frick), per costituire un "Fondo" manoscritto presso l'Università di Harvard. Ed è su questo ricchissimo materiale di alcune migliaia di lettere che i curatori della prima antologia epistolare di Yourcenar hanno operato una nuova scelta presentando quasi trecento testi relativi a vari periodi della vita dell'autrice.
Da una scelta a più mani, dunque, da interventi stratificati e in certo modo eterogenei (ma poteva essere altrimenti?) nasce questa pubblicazione postuma di Yourcenar, che va ad aggiungersi ad altre (la più importante era stata quella dell'ultimo volume dell'imponente saga familiare e autobiografica, "Quoi? L'éternité", 1988) che hanno continuato ad alimentare una fortuna di critica e di pubblico che non sembra in alcun modo legata a mode passeggere. Una fortuna certo abbastanza tardiva, se si pensa che il primo, grande successo di risonanza internazionale si era verificato con le "Memorie di Adriano" (1951), quando la scrittrice aveva già quarantasette anni, e via via fino all'elezione all'Académie Franèaise come prima donna tra gli "Immortali". Ma una fortuna immensa e anche di carattere "popolare" se pensiamo alle tirature delle sue opere in tutto il mondo e alla messe di studi critici ed esegetici (non sempre purtroppo di alto livello) che sono stati esaustivamente schedati nell'ottimo repertorio di Franèoise Bonali Fiquet, pubblicato l'anno scorso a Tours per la Société d'études yourcenariennes.
"Ogni vita narrata è esemplare", si legge nei "Carnets de notes" delle "Memorie d'Adriano", perché il grafico di una vita si compone di tre linee sempre divergenti: ciò che una persona ha creduto di essere, ciò che ha voluto essere e ciò che è stata. Il poderoso libro di Michèle Sarde, che intende ricostruire la "verità più intima" della vita di Yourcenar, è anche e soprattutto un tentativo di "femminizzare", di "umanizzare" un soggetto scrivente che ha preferito identificarsi in una tipologia maschile e omosessuale.
"La passione e le sue maschere" recita il sottotitolo di un dialogo immaginario e intenso che la biografa-romanziera intrattiene con un "vous" sempre sfuggente, misterioso, catturante, nell'ipotesi di poter cogliere il fuoco segreto, l'ardore nascosto che la "maschera" della scrittura ha sempre cercato di controllare, di spegnere, convogliandolo nello stereotipo della giramondo ricca e privilegiata e poi in quello della scrittrice austera e accademica, destinata a una fama quasi senza precedenti.
Nonostante i suoi meriti, il libro di Michèle Sarde ci prova quanto sia difficile liberarsi da un certo determinismo biografico anche se nel suo privato un artista opti per il riserbo e la misura, e voglia deliberatamente consegnare alla propria opera l'immagine di sé, che è l'unica che possiamo conoscere. A partire dalla pubblicazione di Souvenirs pieux (1973) e dal completamento della trilogia con "Archives du Nord" e "Quoi? L'Eternité", Marguerite Yourcenar ha inteso ri-collocare tutta la sua produzione all'interno di un "vasto sistema autobiografico" (J. Roudaut) che è impersonale in quanto l'autore scompare in quanto persona. Di questo sistema fa parte anche l'epistolario, accuratamente preparato, come sembra, per una pubblicazione postuma. In tal senso, quindi, esso non si pone fuori dall'opera, ma "fa opera", è scrittura immediatamente e mediatamente.
Si tratta certo di un materiale eterogeneo e variegato (lettere personali, ufficiali, ad amici, ad altri), sin dalla prima lettera di bambina di sette-otto anni, a quella scritta un mese prima di morire. E ovviamente questa specie di diario, frammentario e intermittente, presenta dei pieni e dei vuoti. Per esempio, sono molto meno numerose le lettere precedenti al 1939, l'anno della partenza della scrittrice per gli Stati Uniti; ma l'attività epistolare s'intensifica dagli anni cinquanta, all'epoca del grande successo letterario e dei frequenti viaggi della "pellegrina e straniera".
Difficile dare un'idea della mole di temi e riflessioni che vi sono contenuti (dettagli intimi, emozioni di viaggio, note di lettura, giudizi politici). Una parte importante è consacrata alla genesi delle opere, costituendone uno straordinario commento in atto, un esempio di quell'autocommento che Yourcenar ha sempre praticato con le prefazioni, le postfazioni, le note e le interviste che hanno sempre accompagnato i suoi libri. Ma, a differenza di altri apparati paratestuali, le lettere scritte a caldo durante la gestazione di un libro o subito dopo ci fanno entrare direttamente nel laboratorio della scrittura.
Spesso queste considerazioni tecniche e professionali sono interrotte da altre notazioni e descrizioni, da magnifici abbozzi, da frammenti di "conversazione" che fissano il quotidiano dell'esistenza, sul tono delicato e affettuoso di una comunicazione più diretta. Facciamo almeno due esempi: le lettere bellissime indirizzate all'amica Jeanne Carayon, fonte preziosa di notizie storiche sulla famiglia della Yourcenar (sin dalla scrittura di "Souvenirs pieux"); e quelle scritte agli amici dopo la morte di Grace, 1979, nella dolorosa vertigine di "quella caduta nel vuoto", dopo tanti anni di vita in comune.
Impareggiabile frequentatrice del codice epistolare, Yourcenar sa alternare il discorso semplice e familiare a quello della riflessione poetica ed esistenziale. Come nelle poche, ma fondamentali lettere a Charles du Bos (scritte tra il '37 e il '38), nelle quali affiora la sua distanza dal cattolicesimo, ma anche la tentazione del misticismo, insieme alle contenute, ma intensissime allusioni alla tragedia imminente del conflitto mondiale, da Capri "vuotata per le inquietudini internazionali" dei suoi abituali turisti stranieri.
Oppure ancora alla Storoni Mazzolani (1960), dove dalle preoccupazioni "di autore" per una nuova traduzione italiana di "Adriano", si scivola impercettibilmente verso la descrizione di un viaggio in Spagna in occasione delle cerimonie della Settimana Santa, e con tono familiare e apparentemente dimesso si accenna alle bestiali prepotenze del franchismo (e più tardi all'"infinito scoraggiamento" comunicato da un brevissimo soggiorno a Leningrado).
In questo genere di corrispondenza spiccano la lettera a Jean Mouton (1966) sull'estetica del demoniaco, le risposte alle interviste di Jean Chalon (1974) e di Bertrand Rossi (1979), e le considerazioni scritte a Alain Goulet (1975) sull'influenza di Gide sulla sua opera.
Inutile sottolineare l'importanza di certe osservazioni o di certe confessioni che ci rivelano inediti segreti sui gusti letterari e artistici della scrittrice o ci consentono di conoscere dettagli di fabbricazione dei suoi testi. Ma su ben altro terreno, su altro registro, ci piace citare due lettere che sono anch'esse "ufficiali". La breve e ferma protesta indirizzata al presidente Georges Pompidou (1971) in difesa di un parco naturale, e la lunga lettera inviata a Brigitte Bardot in appoggio della sua campagna contro i crudeli massacri degli animali da pelliccia e per spingerla a intervenire presso il governo canadese contro lo sterminio annuale delle foche.
Ci piace in particolare concludere evocando le ultime parole che la signora di Mount Desert Island (già autrice dei suoi massimi capolavori) scrive all'ex sex symbol (l'unico che la vecchia Europa seppe contrapporre alle bellissime americane), ora appassionata animalista: "Termino scusandomi per questa lunga lettera..., ringraziandola ancora di ciò che ha fatto per la causa umanitaria: è meraviglioso che la grazia e la bellezza siano tutt'uno con la bontà".
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