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All'inizio degli anni Trenta, il governo fascista italiano aveva accreditati in URSS alcuni diplomatici. Attenti e scrupolosi nell'annotare le manifestazioni della politica staliniana così come i gesti semplici e disperati della gente comune, con l'invio di regolari dispacci essi fotografarono con un occhio diretto e ravvicinato gli eventi terribili della guerra civile, della collettivizzazione e della carestia che costarono la vita di milioni di persone.Rinchiusi discretamente negli Archivi di Stato dopo la lettura personale di Mussolini, quelle testimonianze di una relazione diplomatica fra paesi ufficialmente ostili, ma soprattutto quei documenti eccezionali di un momento cruciale della storia sovietica, sono rimasti per lungo tempo muti e inesplorati. Ora il lavoro di ricerca di Andrea Graziosi li riporta alla luce; e gli echi di quegli avvenimenti, giunti in Italia nel dopoguerra con le memorie di Kravcenco e le pagine di Grossman, appaiono subito meno lontani. Nitidi nei contorni, secchi come una cronaca attuale, fra le pieghe di queste narrazioni spesso avvincenti nella loro drammaticità, si rivedono intricati gli immani sacrifici di tanta gente sconosciuta e i momenti "epici" della grande storia; ma emergono anche elementi inediti per una nuova comprensione degli anni dello stalinismo; dei rapporti fra Stati e dittature tra le due guerre; e ancora si intravede l'anima profonda di tanti conflitti nazionalistici che a tutt'oggi scuotono le fondamenta dell'impero sovietico e minano i già precari equilibri della pace internazionale.
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