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La corrispondenza di Vincent, indirizzata soprattutto al fratello Theo ma in sé molto vasta, comprendente 820 lettere raccolte in 6 volumi, è annoverabile fra i maggiori epistolari della cultura e della storia intellettuale europea. Egli, fra le sue pagine che alternano fitta scrittura con sublimi disegni a matita o frettolosi schizzi, non registra solo il destino di un genio, con un’esistenza segnata dall’insuccesso, dall’insicurezza e dalla malattia mentale; ma testimonia anche la sua caparbia volontà di proseguire il cammino artistico a dispetto di tutto; quel cammino che nelle sue considerazioni sull’uso della matita da disegno e dei colori, sul metodo per dipingere ritratti e paesaggi, o nelle riflessioni sulla posizione dell’artista nella società, risulta essere stato fondamentale per lo sviluppo dell’arte moderna. Le sue lettere modificano la mitizzazione del carattere e dello spirito di VG, quell’idea di un uomo impulsivo, sofferente di epilessia, che rovescia le sue nevrosi sulla tela in forme espressionistiche e pennellate dal ritmo ossessivo, rafforzata dall’interpretazione letteraria che ne diede Antonin Artaud nel libro “Van Gogh il suicidato della società”, per mostrarci un artista olandese non privo di lucidità intellettuale, perfettamente cosciente di ciò che faceva, in grado di scegliersi degli obiettivi e di perseguirli passo dopo passo. Tanto che rileggerle a distanza di anni fa ipotizzare che la sua follia, il disagio mentale siano stati in realtà un po’ una messa in scena, un modo per far parlare di sé escogitato dal pittore. Reale è invece il dolore, ben espresso nelle sue lettere e congiunto all’aspirazione a un’arte che esprima il senso della verità e il suo afflato spirituale: per es. la chiara visione delle cose che VG ritrovava nei quadri giapponesi: «Invidio i giapponesi, l’estrema nitidezza che tutte le cose hanno presso di loro … il loro lavoro è semplice come respirare … Ah, bisogna che riesca a fare una figura con pochi tratti!».
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