Il libro di Massimo Salvadori, di fronte al ricorrente e "chiassoso invocare una rivoluzione liberale" tanto invocata quanto mai attuata , si interroga sulla cultura e la politica liberali in Italia, "sugli ostacoli che hanno impedito al liberalismo italiano come pratica di governo di raggiungere la maturità, di dar vita insomma come in altri paesi a un sistema compiuto". Questa riflessione è altresì mossa dalla necessità per il nostro paese "di misure di ispirazione genuinamente liberale al fine di migliorare il funzionamento delle istituzioni, allargare l'ambito di diritti di libertà e di diritti civili". Attraverso una serie di saggi (alcuni editi e parzialmente rielaborati, altri inediti) dedicati ad alcune delle più eminenti figure di politici e intellettuali liberali italiani (Cavour, Croce, Einaudi, Matteucci, Abbagnano, Bobbio), Salvadori indaga le specificità e i limiti, le anomalie o "eccezioni" del liberalismo italiano. È noto che dopo il 1989 cioè dopo il crollo dello storico antagonista del liberalismo i pensatori variamente riconoscentisi nella dottrina liberale, la cui identità si configurava (e reggeva) anche grazie a quella stessa contrapposizione, abbiano avvertito l'esigenza di una reinterpretazione della "vera" identità del liberalismo. All'insegna della domanda "che cos'è il liberalismo?" o "come si distinguono i veri dai falsi liberali?", abbiamo assistito a una copiosa proliferazione saggistica e a una serie di dibattiti ben lungi dall'essere terminati. Il libro di Salvadori non muove tanto da queste domande, né da esigenze di natura "identitaria", ma da una concezione ben precisa di cosa debba essere un sistema politico liberale, assunta a paradigma e norma di giudizio per misurare l'"eccezione" italiana. Il "limite strutturale del nostro liberalismo" è quello di "essere stato l'espressione di pratiche di governo e di un movimento ideologico e culturale cresciuti ignorando il tratto e il compito essenziali dei sistemi liberali maturi: dare luogo a 'normali alternative di governo' tra schieramenti politici in reciproca competizione ed egualmente legittimati a reggere le redini del potere". Il paradigma di giudizio rinvia al "nucleo forte della teoria liberale europea e americana sette-ottocentesca", fondata sulla convinzione che un sistema liberale funzionante richieda la compresenza di tre condizioni necessarie: il riconoscimento delle libertà fondamentali, per "gli individui e i raggruppamenti collettivi", in difesa dall'arbitrio del potere e per sollecitare lo sviluppo del pluralismo in tutti campi; il consenso popolare, quale base della legittimità del governo, organizzato dai partiti attraverso il ricorso periodico a libere elezioni ed espresso dalla maggioranza parlamentare; il meccanismo di equilibrio o dei checks and balances fra i poteri. Nondimeno, avverte Salvadori, questa istanza di natura istituzionale, che ritorna in gran parte del libro dalla polemica Croce-Einaudi alla critica di Bobbio (e poi di Sartori) al liberalismo crociano è necessaria ma non sufficiente per la piena "maturità" di un sistema liberale: esso ha bisogno di "quelli che potremmo definire il suo spirito e la sua materia vitali", cioè la presenza "di schieramenti che si riconoscano nello stato e nelle istituzioni rappresentative, che diano a esse legittimità", che quindi possano sostanzialmente, e non solo formalmente, "concorrere in vista dell'esercizio del potere". L'anomalia risiede dunque nel fatto che, sin dalla proclamazione del Regno d'Italia, le forze di governo e di opposizione, messe di fronte alle sempre risorgenti "forze dell'anti-Stato", invece di dar luogo a un'autentica dialettica politica basata sull'alternanza, si perpetuarono in un monopolio o oligopolio di potere, costituendo un regime politico "bloccato". Quel poco di mutamento avvenne solo con la nota logica del "trasformismo". Ad alcuni dei più grandi liberali italiani è poi mancata la "consapevolezza" che ciò costituisse un fatto patologico anzi, in alcuni casi il trasformismo venne trasfigurato ideologicamente come un elemento positivo , sicché "il liberalismo zoppo dell'età prefascista rimase zoppo anche nell'età postfascista". Attraversato dall'opposizione "liberalismo conservatore"/"liberalismo progressista", il libro si chiude con l'"ultimo grande e innovativo esponente della tradizione liberale italiana", Norberto Bobbio, e con una citazione di quest'ultimo che compendia "le delusioni del liberaldemocratico progressista": "È bello, forse anche incoraggiante, chiamare i diritti dell'uomo (
) una grande invenzione della nostra civiltà, ma (
) sono un'invenzione che rimane più annunciata che eseguita. (
) Le società libere, giuste e felici non sono mai state attuate, e, a giudicare da quello che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi, la loro attuazione è più lontana che mai". Paolo Silvestri
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