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La continuità tra il regime socialista nella Russia di quaranta anni addietro e la situazione attuale dopo l'Ottantanove s'incarna nel ritratto di un cabarettista, libero, ieri come oggi, perché «non ha bisogno delle cose».
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quando in un libro incontro una frase importante, una descrizione illuminata o -anche solo- una parola bella, il timore di dimenticarla mi costringe a sottolineare (a matita). Ma non riuscirò comunque a tenere a mente tutte le righe tirate dritte in questi resoconti di viaggio di Luisa Adorno. Viaggi verso l'Est, l'URSS com'era veramente, nuda, cruda, vista da una donna colta e attenta, indulgente ma non troppo. Da leggere per ricordare.
Recensioni
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È un libro epistolare di viaggio giocato su due piani del tempo incastonando in lettere contemporanee lettere dalla Russia degli anni Settanta, racconti di ripetuti soggiorni, allora, a Praga e a Cracovia in una residua, dura a morire, speranza di socialismo, fino al presente quando, dopo la frattura dell'Ottantanove, c'è il ritorno in quegli stessi paesi alla ricerca delle persone amiche di cui ascoltare o rivivere le esperienze. Le tante vicende non sono intrecciate nell'unica trama del movimento puntando sullo straordinario o sull'inatteso, vengono invece rivisitate con uguale attento animo amico le persone che hanno visto crollare il mondo in cui ancora credevano, quelle le cui speranze hanno preso faticosamente respiro o tese ora alla conquista del benessere. Ma è nel cabarettista polacco, che non aveva e non ha bisogno delle cose, «...nell'aria felice con cui aspettava, un po' alticcio, di entrare in scena per quelle ore di realizzazione di sé nella verità, che nessuno mai gli aveva potuto impedire» che si coglie un lampo di vera libertà. La scrittura, ora rapida ora distesa, tende ad annullare lo spazio e a fondere fatti e persone in un tessuto di ansie, miserie, speranze e guizzi di allegria. Luisa Adorno
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