Il quadro dello sviluppo dell'editoria scolastica, dal Piemonte e la Lombardia preunitari fino alla riforma Gentile, delineato da Giorgio Chiosso, ordinario di pedagogia generale alla facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Torino, costituisce uno spaccato della stessa storia d'Italia. Oltre alla ricchezza di dati statistici, alcuni dei quali ancora provvisori, sulle adozioni dei libri di testo, l'autore offre una visione molto articolata e complessa dell'evoluzione del "libro di scuola", fino al fascismo e al suo più illustre ministro dell'Istruzione. L'obiettivo del lavoro di Chiosso è osservare il testo scolastico nella sua complessa fisionomia di dispositivo didattico, di oggetto con funzioni politiche e culturali e di merce finalizzata al profitto dell'editore. Lo studio si dipana quindi in questa triplice relazione tra esigenze pedagogiche, culturali ed economiche e tenta di spiegare come la connessione così istituita abbia segnato le fortune e le disgrazie delle case editrici, dalle più sconosciute e ormai scomparse, a editori che si muovono tuttora con successo nel mercato dell'editoria scolastica, come Paravia, Loescher, Trevisini o Zanichelli. Altro processo in cui ci orienta la bussola di Chiosso è il percorso di laicizzazione dell'istruzione scolastica, come risultato di due spinte complementari: all'istanza illuminista per un'educazione che raccolga le necessità di un'amministrazione pubblica centralizzata, e quindi scevra da influenze clericali che si avvertono come una minaccia per lo stato, si aggiungono, a partire dalla metà degli anni cinquanta dell'Ottocento, le necessità del nascente processo di industrializzazione, con il fabbisogno anzitutto di quadri intermedi istruiti, ma anche dell'educazione di una manodopera ampiamente di origini contadine. In linea con queste richieste, l'editoria scolastica si orienta verso scelte pedagogiche che, come scrive l'autore citando i casi di Tarizzo e della tipografia Camilla e Bertolero, aderivano alle nuove necessità della cultura positivistica, di una pedagogia meno filosofica e più sensibile ai contributi delle scienze umane, in particolare della psicologia. Il modello proposto è quello di una cultura solidaristica e self-helpistica, che coniuga ideologia industrialista, di cui il lavoro operaio è cifra, e frugalità rurale. Il self-helpismo sembra anzi essere la chiave di lettura privilegiata della letteratura pedagogica di fine Ottocento e coinvolge, con le sue differenti declinazioni, sia l'editoria laica che religiosa. Di quest'ultima, l'esempio forse più rilevante è la Libreria Salesiana, che coniuga gli aspetti religiosi e devozionali con le necessità di alfabetizzazione, avviamento al lavoro e adeguamento al nuovo clima politico postunitario, con una particolare attenzione alle scuole professionali. Con i programmi del 1888 si cominciano a dispensare lezioni di storia d'Italia a partire dalla terza classe elementare, con particolare riferimento all'epopea risorgimentale, anche se è soprattutto nelle prime classi della scuola secondaria che avviene l'insegnamento della storia. Pure in questo caso, fin dalla metà dell'Ottocento, si delineano due visioni della storia patria, quella laica e monarchica e quella cattolica e papista, di cui sono esempio rispettivamente i testi di La Farina e Giovanni Bosco. Con i nuovi programmi si passa dall'ideologia dell'Italia come estensione della famiglia all'ideologia della costruzione della patria in un contesto europeo, come portatrice di civiltà. Appaiono i primi accenni a una concezione razzista, secondo cui l'uomo industrioso, attivo, laborioso e portatore di civiltà è l'uomo bianco, di religione cristiana. Storia e geografia contribuiscono a definire questa nuova identità nazionale della Grande Italia, alla quale collaborano non solo i libri di testo veri e propri, ma anche una vasta pubblicistica di libri di lettura. Nello slogan "sconfiggere Caporetto" è colto il senso della riforma Gentile del 1923, un tornante importante anche nella storia dell'editoria scolastica. Questo tornante si può riassumere nel mutato orientamento dall'utile all'ideale, ed ebbe tra i portavoce i "lombardiani" nella scuola elementare e i "gentiliani" nella scuola superiore. Il controllo di stato sui testi scolastici ebbe come risultato anche il mutamento degli equilibri editoriali. Mentre la piccola editoria fece fatica ad adeguare la propria produzione ai nuovi programmi, si rafforzarono editori cattolici, come la Società editoriale internazionale, grazie al rilancio delle scuole cattoliche favorito dalla riforma, e le case editrici che per prime avevano aderito al fascismo, come Cappelli, Vallardi, Zanichelli e la stessa Mondadori, che fin dal 1925 sottoscrissero un ordine del giorno di appoggio al nuovo regime. Gino Candreva
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