Il padre, Luigi Einaudi, economista e appassionato bibliofilo, è stato il primo presidente della Repubblica italiana (dal maggio 1948 all'aprile 1955). Giulio frequenta il ginnasio-liceo Massimo D'Azeglio, diventa allievo dell'antifascista Augusto Monti e prende lezioni da un suo ex allievo che è già all'università: Massimo Mila. Mila, complice il latino, diventa amico di Einaudi e lo introduce nella «confraternita» degli ex allievi del D'Azeglio fra i quali ci sono Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Vitttorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli, e altri.
Nel 1929, presa la maturità, si improvvisa amministratore de «La Riforma Sociale», la rivista del padre, con l'intenzione di potenziarla.
Sebbene fosse destinato a fare il medico, a poco più di vent’anni si lancia nell'editoria. E infatti il 15 novembre 1933 nasce ufficialmente la «Giulio Einaudi Editore» al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede dell'«Ordine Nuovo» di Antonio Gramsci. Nel 1934 la casa editrice, che aspira a realizzare «un progetto editoriale con interventi nel campo della storia, della critica letteraria e della scienza e con l'apporto di tutte le scuole valide, non appiattite dal prevalere della politica sulla cultura», pubblica il primo volume: Che cosa vuole l'America? di Henry Agard Wallace, allora vicepresidente degli Stati Uniti, con una coraggiosa prefazione di Luigi Einaudi. «Di ben 31 pagine», scrive stizzito Mussolini sul «Popolo d'Italia». La grande avventura è cominciata. Giulio Einaudi gestisce l'impresa fin dall'inizio in maniera collegiale. Non fa l'editore padrone, è come un principe illuminato che ama il lavoro di gruppo. Ogni scelta matura in appassionate discussioni con i suoi amici-collaboratori. In quelle che saranno poi le tradizionali riunioni del mercoledì. Da subito dedica una cura particolare alla fattura dei libri: la carta, la legatura, le copertine (a lungo disegnate da Francesco Menzio), e anche la grafica per la quale sarà all'avanguardia grazie alla collaborazione di maestri come Bruno Munari, Albe Steiner e Max Huber.
Significativo dello spirito che anima l'impresa editoriale diventa ben presto il simbolo che comincia ad apparire sui libri, l'ormai famoso struzzo nell'atto d'ingoiare un chiodo con il motto: «Spiritus durissima coquit», ovvero una volontà capace di digerire anche i chiodi.
Einaudi collabora con il gruppo torinese di «Giustizia e libertà» e, il 15 maggio del '35, subisce l'arresto, insieme con i suoi amici Mila, Ginzburg, Foa, Antonicelli, Bobbio, Pavese, Carlo Levi e Luigi Salvatorelli. È prima imprigionato, poi inviato al confino.
Nel 1936 il lavoro della casa editrice può riprendere. Leone Ginzburg e Cesare
Si aggiungono nuovi collaboratori. Compare Giaime Pintor, tenente del regio esercito, nipote di un generale. Fa parte degli einaudiani pure Carlo Muscetta. È lui che vara la "Universale Einaudi" di testi classici in cui appare l'"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters che segna l'esordio, come traduttrice, di Fernanda Pivano. Ci sono poi una nuova scrittrice, Elsa Morante e i libri di Bruno Munari. Con "Le occasioni" Eugenio Montale ha inaugurato la collezione "Poeti". Poi, l'8 settembre 1943 blocca ogni attività. La lotta di resistenza sparpaglia tutti. Leone Ginzburg il 20 novembre viene arrestato a Roma e rinchiuso nel braccio tedesco di Regina Coeli dove muore il 5 febbraio dell'anno successivo a soli 34 anni. Anche il ventiquattrenne Giaime Pintor, il più giovane degli einaudiani, muore mentre cerca di unirsi ai gruppi della lotta partigiana. Giulio Einaudi si rifugia alcuni mesi in Svizzera e di là, già pensando al dopo, scrive e telefona per assicurarsi i diritti di scrittori come Hemingway, Sartre e altri. Quindi rientra in Italia unendosi alle brigate garibaldine in Val d'Aosta. Nell'ottobre 1944 Einaudi viene inviato in missione a Roma. Là incontra per la prima volta Palmiro Togliatti ed è l'inizio di una serie di contatti dai quali scaturirà, fra il 1947 e il 1951, la pubblicazione di "Lettere dal carcere" e dei "Quaderni" di Antonio Gramsci.
Dopo la guerra l'editore torinese si circonda di intellettuali e scrittori come Elio Vittorini, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Luciano Foa, Giulio Bollati, che si aggiungono a quelli che sono con lui dalla fondazione. L'Einaudi, all'avanguardia quando è stata fondata, continua ad esserlo ora che si respira libertà e democrazia. E lo dimostra subito nel settembre del 1945 cominciando a pubblicare «Il Politecnico» diretto da Elio Vittorini.
Con l'esperienza del "Politecnico" Vittorini comincia una intensa collaborazione con la casa editrice dello Struzzo ideando una collana ormai mitica: "I gettoni". È lì che lui, generoso scopritore di talenti, pubblica per un decennio le opere di nuovi scrittori come, fra gli altri, Carlo Cassola, Beppe Fenoglio, Mario Rigoni Stern, Anna Maria Ortese, Lalla Romano.
Anche Natalia Ginzburg, che in "Lessico famigliare" offre gustose cronache einaudiane, è entrata a far parte del gruppo. La sua traduzione de "La strada di Swann", insieme con quella di Giorgio Caproni del "Tempo ritrovato", realizza il progetto di pubblicare la "Recherche" di Proust.
Leggendarie le riunioni del mercoledì, dove si sceglievano i libri da pubblicare, o l'annuale incontro in valle d'Aosta per decidere la politica editoriale. Giulio Einaudi, autoritario, assolutista, perfezionista, ascoltava tutti, ma alla fine era lui che decideva. Alla casa editrice, dal '45 nella storica sede di via Biancamano, si deve la scoperta e la pubblicazione di opere che hanno segnato da cultura del '900. Dalla traduzione della "Ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust, alle opere di Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Thomas Mann, Jorge Luis Borges, Robert Musil. Immenso il lavoro di divulgazione storica, culminata alla fine degli anni '70 con "La storia d'Italia".
Poi, dopo quegli anni Settanta, inizia il periodo di crisi. Nel dicembre ’83 a causa di dissesti finanziari arriverà per l’Einaudi l’amministrazione controllata, che avvierà la transizione verso una nuova struttura societaria nell’’87. Giulio Einaudi rimane presidente, ma la casa editrice passa sotto il controllo di Intracom; dal ’94 sarà Mondadori a controllare il 70% delle quote societarie.
Giulio Einaudi, a cui nel frattempo erano state attribuite alcune lauree honoris causa, muore il 5 aprile del 1999, a 87 anni, nella sua casa di campagna a Magliano Sabina, vicino Roma.
Dall'incipit del libro Giulio Einaudi 1912-2012, di Walter Barberis edito da Einaudi in occasione del centenario della nascita:
"Dei lini chiari, o blu di Prussia, che d’estate gli frusciavano addosso, o ancora dei morbidi tessuti di buon taglio che d’inverno gli scivolavano dalle spalle nelle braccia zelanti di fedeli sottoposti, molto si è scritto. Mito e antimito hanno fatto di Giulio Einaudi, nel corso di tanti anni, il soggetto ideale per manifestazioni di ammirazione e per dichiarazioni di fiera antipatia. Di volta in volta considerato l’artefice di una non comune avventura editoriale o il colpevole di una subdola egemonia culturale della sinistra, la critica lo ha sempre riverito o riprovato: vestito e ritratto nei panni di un grande aristocratico, discendente d’eccezione della migliore borghesia italiana, oppure arrogante modello di una radicalità da salotto. Certo, Giulio Einaudi non è passato inosservato nel corso del Novecento italiano. E ha suscitato reazioni intense. Fino agli ultimi giorni, quando una intervista televisiva ne riprendeva ancora una volta il tratto ironico e il ricordo appagato di una lunga vita; o quando si prestava all’obiettivo del fotografo con le mani appoggiate su una pila di libri, con l’occhio ridente dell’anziano consapevole di aver superato ogni ostacolo, ancora desideroso di suggerire futuro, anche in un’epoca goffamente ripiegata su un presente ottuso, gonfio di materialità e di piccole prospettive individuali."
Fonti: Archivio Storico Einaudi; biografia redatta da Luciano Simonelli; StoriaXXIsecolo.it