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Fin dagli antichi Greci la filosofia si è confrontata con il linguaggio, costruendo sofisticate teorie su idee e cose, parole e oggetti, sensi e significati. Il nostro secolo ha infine assistito a quella "svolta linguistica" che accomuna pensatori tanto diversi quanto Heidegger e Wittgenstein intorno al tema del linguaggio come asse della riflessione e dell'espressione. Ian Hacking ripercorre qui alcune tappe essenziali di questo confronto, dal Seicento a oggi: dal "segno" di Thomas Hobbes all'"anarchismo" di Paul Feyerabend passando per Locke, Berkeley, Frege, Russell, Wittgenstein, Ayer, Chomsky e Davidson. Il libro rivela così il "labirinto filosofico che ha il linguaggio al proprio centro". Ma Hacking fornisce anche il filo d'Arianna per uscirne: non restare intrappolati nella "routine di una filosofia del linguaggio fine a se stessa", ma scoprire come e perché il linguaggio costituisce l'interfaccia tra noi stessi e il mondo.
scheda di Marconi, D., L'Indice 1994, n. 9
Questo libro - intitolato nell'originale "Perché il linguaggio è importante per la filosofia?" - diede, vent'anni fa, una risposta nuova e interessante alla domanda posta dal suo titolo. Il linguaggio non è importante perché sia inevitabilmente foriero di ambiguità, confusioni e fraintendimenti che spetta alla filosofia eliminare, come pensavano i neopositivisti e prima di loro molti filosofi, da Bacone a Frege. Non è importante neppure perché - al contrario - porti già in sé tutte le distinzioni di cui un sano pensiero ha bisogno, come pensava Austin (anche qui, con molti predecessori). Il linguaggio è importante, invece, perché ha occupato il posto che nella grande tradizione filosofica europea (da Cartesio a Kant) era stato del pensiero e delle idee. Questo posto è il luogo della mediazione epistemica: "le idee allora, e gli enunciati oggi servono come interfaccia tra il soggetto conoscente e ciò che è conosciuto". Perché il linguaggio abbia sostituito in questo ruolo il pensiero e le idee, Hacking non spiega più che tanto, limitandosi ad alludere al fatto che la conoscenza è diventata una faccenda linguistica ("un tessuto di enunciati", come diceva Quine). Probabilmente si sentiva legittimato a non porsi questo problema dalle idee foucaultiane di episteme e rottura epistemologica, di cui subiva l'influenza. La tesi principale del libro - il linguaggio prende il posto del pensiero - sarebbe stata ripresa nelle "Origini della filosofia analitica" da Dummett, che avrebbe rintracciato in Frege la motivazione teorica della transizione. D'altra parte, la centralità filosofica dell'epistemologia, che è presupposta dalla tesi di Hacking (la filosofia si occupa del linguaggio perché si occupa della conoscenza), è anche il bersaglio principale di Rorty nella "Filosofia e lo specchio della natura", che può essere letto (anche) come un tentativo di riscrivere il libro di Hacking cambiandolo di segno: quella che è in Hacking la "naturale" identificazione di filosofia ed epistemologia diventa per Rorty un abbraccio mortale.
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