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recensioni di Dinelli, M. L'Indice del 2000, n. 05
Il destino della poesia è spesso legato all'umore mutevole di un'età. A questo proposito Josif Brodskij (in un'intervista con Solomov Volkov) individua l'"insensato parallelismo" secondo cui un popolo elegge il Poeta come elegge lo Zar, lasciando nell'oblio tutta una schiera di poeti che rimangono schiacciati dalla leggerezza di questa scelta. Il paragone tra cultura e politica va al di là della pura analogia. "Se avessero conosciuto meglio Baratynskij e Vjazemskij, forse nemmeno si sarebbero fissati su Nicola [lo zar Nicola I]", dice Brodskij. L'assolutismo tanto in poesia quanto in politica è un male da cui non è esente neanche il mondo contemporaneo: "Una poesia è buona finché si sa di chi è", ironizzava Karl Kraus. Le hit-parade che archiviano il millennio passato lasciano poco spazio alle riscoperte.
Questa atrofia del giudizio si è rivelata fatale per Evgenij Abramovi∞ Baratynskij (1800-1844), tormentato tutta la vita dall'assenza di una fama duratura. La sua figura di poeta è stata oscurata, anche dopo morto, dall'ombra del Poeta che riassume - e quindi semplifica - un intero universo culturale: Aleksandr Sergeevi∞ Pu≤kin. Nonostante l'ammirazione dello stesso Pu≤kin e, più tardi, di Gogol', Baratynskij rimane fino a oggi un poeta semisconosciuto. Di Pu≤kin si è celebrato l'anno scorso il bicentenario della nascita; quest'anno, con meno clamore, si festeggia quello di Baratynskij. Un degno riconoscimento viene dal volume di poesie curato da Michele Colucci che finalmente interrompe questo prolungato mutismo critico. Il primo merito di questa edizione è l'ampia introduzione, che non è solo un dettagliato saggio sul poeta, ma l'affresco di tutta un'epoca. L'altro pregio è nelle liriche tradotte. Dal gusto francese per l'elegia, il poeta arriva negli ultimi anni a una poesia filosofica in cui si ritrovano i temi cari a tutto il romanticismo, dalla missione del poeta al contrasto tra poesia e scienza. Ma la sua attualità per il lettore postmoderno è da cercare altrove. Le sue parabole filosofiche hanno lo stesso furore profetico delle visioni di William Blake. Sulla Russia avanza l'uragano del progresso scientifico: "Il secolo procede sul suo cammino ferreo; / nei cuori l'interesse, e l'essenziale, l'utile / prendono a impadronirsi dell'umana illusione". La ragione ha svuotato il mondo del suo senso, rimane solo il suo scheletro, una terra desolata: "Sfolgora ora l'inverno di un mondo senescente" (L'ultimo poeta, 1835). In L'ultima morte (1827), visione inquietante per le incredibili somiglianze con altre anti-utopie della modernità - si pensi a quella di Gli immortali di Borges - l'umanità futura che ha riconquistato la condizione edenica attraverso la tecnologia si allontana dalla vita vivente e muore assorta nella sua contemplazione.
Baratynskij ha il dono dell'esattezza. Brodskij in questo lo preferisce a Pu≤kin: ciò che nel secondo tende alla ripetizione e diventa cliché, nel primo è immagine "vissuta" e riformulata con una straordinaria nettezza di contorni. Nei suoi versi si avverte la stessa lucidità nel dolore di un altro grande pessimista, Giacomo Leopardi: "Io dormo, e grato mi è questo sonno; / dimentica illusioni che già furono: / nell'anima puoi ora risvegliare / soltanto agitazione, non amore" (Disinganno, 1821).
Grazie alla versione di Colucci oggi il lettore italiano può godere del rigore di questa poesia. Il traduttore si misura con una questione centrale: come tradurre la poesia russa che è basata sulla rima in una lingua come l'italiano che ha scelto da tempo il verso libero? La traduzione deve tener conto dell'orecchio nazionale. Versi sciolti, quindi, ma recuperando la musicalità della poesia russa ad altri livelli: in primo luogo optando coraggiosamente per una versione metrica, e poi con vari accorgimenti retorici quali assonanze, rime interne e allitterazioni. La lingua del testo tradotto è asciutta, appena sfiorata da un gusto misurato per gli arcaismi (presenti, d'altronde, nel testo di partenza), godibilissima dal lettore contemporaneo.
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