L'indipendenza del regno di Napoli conseguita nel 1734 con l'ascesa al trono di Carlo di Borbone inciderà intensamente nelle coscienze della nuova generazione per lasciare tracce importanti in tutto il mondo riformatore che avrebbe messo in moto di lì a poco. L'avvento del nuovo sovrano fu preparato dall'azione intellettuale di un piccolo gruppo di giuristi tra i quali Costantino Grimaldi e Pietro Giannone, che ripresero con i loro scritti la lotta giurisdizionalistica e l'elaborazione di nuovi interessi teorici sulla scia degli uomini di cultura di fine Seicento e l'inizio del secolo XVIII tra i quali Descartes, Spinoza, Machiavelli e Hobbes. A metà secolo appariva con evidenza l'impronta della nuova intellighentsia borghese formatasi attraverso un dialogo continuo tra l'Italia e il mondo culturale europeo sull'interesse agli sviluppi scientifici e filosofici e sulla trasformazione avvenuta in Francia in quel torno di anni, grazie particolarmente al peso della République des Lettres, del nuovo razionalismo come alla cooperazione decisiva delle logge massoniche dovuta al «viaggio» dei liberi muratori e dei loro collegamenti con le reti di corrispondenza e di gestione della cosiddetta «circolazione armoniosa» delle élites. Il contatto degli intellettuali italiani con la nuova cultura europea diffusa dai viaggiatori che visitavano la penisola nel corso del Grand Tour avvenne principalmente attraverso l'importazione e la traduzione di libri e riviste straniere, che svolsero un ruolo centrale nella formazione della nuova mentalità illuministica in un paese rimasto chiaramente indietro rispetto ai progressi delle altre realtà europee. Ma, al tempo stesso, a partire dal 1715, gran parte dei paesi del vecchio mondo iniziarono a porre lo sguardo sull'Italia per ritrovarsi e rispecchiarsi nella sua cultura. L'eco europea di Ludovico Muratori e di Pietro Giannone prima e di Antonio Genovesi, Cesare Beccaria, Carlantonio Pilati, Pietro Verri, Gaetano Filangieri e Gaetano Galiani successivamente, contribuì non poco in questo senso, allargando l'interesse ai problemi politici e storici della penisola; il contributo di questi scrittori illuministi e riformatori aveva prodotto la curiosità dei visitatori sulla civiltà italica e appassionato particolarmente per le loro riflessioni sociali e politico-culturali in un contesto storico caratterizzato dalle dispute tra Chiesa e Stato. In quella stagione, segnata dalla «cultura della mobilità» e profondamente dall'angoscia come dal travaglio spirituale, s'iniziò a dubitare delle vecchie tradizioni e la nazione francese cominciò a mostrarsi come la più predisposta ad accogliere e attuare in prospettiva rivoluzionaria le nuove idee. Ebbero un merito speciale Denis Diderot, Claude-Adrien Helvétius e (principalmente) Jean-Jacques Rousseau, i quali fondarono la loro azione dottrinale anzitutto sul pensiero anticattolico, preparando in questo modo la crisi che portò all'Ottantanove. Influenzati soprattutto dal pensiero di Thomas Hobbes e John Locke, i filosofi (intellettuali) francesi tradussero in sistemi filosofici teorie che gli scrittori inglesi avevano presentato in forma frammentaria ed empirica. La critica della tradizione teologica ed assolutista, confinata in Inghilterra sul terreno degli studi astratti, diventò così, nella febbrile atmosfera della società francese, un formidabile strumento di sconvolgimenti rivoluzionari.
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