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Tanto rumor per....ben poco. I personaggi di questi racconti sono ectoplasmi, non hanno aspetto, identità, spessore. Le recensioni dell'epoca penso siano ormai datate. 150 pagine fitte, fitte di una noia mortale, dove entra di tutto, dalla droga, all'omossessualità , etc, ma vissute come proiezioni da parte dell'autore. Insomma un piccolo mondo antico, un continuo tafazzismo pseudonevrotico, al solito citazioni cinematografiche 'Fuori luogo', di improbabili registe, ma si sa, tutti ne parlano ma nessuno lo fa 'Bene' in Italia. Sono comunque racconti di quasi 20 anni fa, ormai andati in aceto.
Recensioni
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scheda di Ferrero, M., L'Indice 1988, n. 6
Attraverso nove racconti, che sono altrettanti frammenti, schegge di una realtà concepita come una sorta di territorio intermedio tra l'esistenza e la cessazione di essa, Fortunato affronta in questo bel libro i temi della trasgressione: la droga, l'eversione, la pazzia. Non ci sono intenti di denuncia, ma soltanto una grande indulgenza e malinconia, che si esprimono in una scrittura sobria e controllata eppure intensa. I personaggi di Fortunato hanno sperimentato o sperimentano soluzioni diverse per uscire dall'incertezza, dal disagio esistenziale che gravano su di loro: chi, per continuare a vivere, si è creato una finzione, nel lavoro, nel matrimonio, ne scopre la vanità; chi ha trasgredito, capisce che ormai anche la trasgressione è diventata finzione, luogo comune, "naturale". Rimane soltanto il dolore. Ma anche nell'abitudine al dolore i personaggi continuano a cercare una forma giusta di esistenza. Nel racconto "Fuori di qui" (forse il più bello, perché sembra racchiudere in sé tutti i frammenti sparsi negli altri) il protagonista, in carcere per terrorismo, tenta di ampliare il proprio orizzonte inventando storie nuove; quando però si accinge a fissarle sulla pagina bianca, capisce che anche "scrivere può essere una gabbia, le parole continuano a ripetersi, i verbi a logorarsi". L'uscita dal carcere coinciderà quindi con l'uscita di prigione mentale e la ricerca di una sorta di immobilità in cui sentirsi come "una seconda persona, un'identità parallela".
recensione di Giudici, G., L'Indice 1988, n. 7
Una scrittura felicemente poetica segna l'esordio di Mario Fortunato come narratore: essa è allusiva, infatti, più che descrittiva, le sue meste "contesse" (voglio dire i personaggi) usciranno pur sempre alle cinque, ma egli non ha bisogno di precisarlo, parte giustamente dal presupposto che noi già lo sappiamo; e i "luoghi naturali" non saranno soltanto quelli che danno il titolo a uno dei nove racconti che s'intrecciano in questo serto narrativo, ma soprattutto (e tale è il senso del libro nel suo insieme) i "luoghi" del dolore che allinea a una comune norma umana anche i modi e le condizioni di quella che viene convenzionalmente definita o recepita come diversità. Il drogato e il sieropositivo, il ragazzo che s'innamora del ragazzo, la sposa infelice, il prigioniero e il mancato suicida, non sono in Fortunato monstra, fenomeni da additare alla curiosità pubblica; bensì persone di tutti i giorni e d'ogni tempo che non hanno più dunque bisogno di essere esibite o di esibirsi, sola "informazione" o "notizia" che da essa ci venga essendo quella di una condizione esistenziale generalmente e genericamente umana.
Raccontare questi racconti ci sembrerebbe superfluo, tanto più che a nostro parere i libri che si prestano a essere raccontati sono appunto i libri poco "scritti", mentre qui è la scrittura stessa a costruirsi come storia, a essere quel che succede o non succede: grazie al paziente cesello linguistico che vi presiede, alla sua sintassi da pacato flusso di coscienza, al suo talvolta ossessivo accompagnare il più trascurabile dei movimenti e dei pensieri e al suo, altre volte, concedersi al flou di una disincantata vaghezza. Certo, il comune denominatore che fa l'unità di "Luoghi naturali" è quello, sostanziale, della già descritta tematica, ma ad abundantiam i nove racconti risultano ulteriormente collegati dalla ritornante presenza di alcuni personaggi che andirivengono (per così dire) tra questa o quella narrazione come attraverso le più che perforabili pareti di un contesto onirico e con una osmosi delle loro vaghe identità.
Ma ciò non preoccupa il lettore che sappia cogliere in questa scrittura e in questo modo di narrare (del resto rintracciabili in altri giovani narratori oggi emergenti) lo precipua e già accennata qualità di una lingua poetica, dove il come-è-detto tende sempre di più a farsi un cosa-vuol-dire, ossia significato. Non si tratta di nostalgie formalistiche, ma di un fenomeno che discende più o meno direttamente da una nuova sociologia e tecnologia dell'informazione: come la rivoluzione industriale del secolo scorso segn• insieme alla fioritura del romanzo la nascita di una poesia moderna che sempre più si sarebbe trovata confinata in un suo aristocratico hortus conclusus e magari ghetto, così la nostra età di audiovisivo imperante e di scritture mercificate o puramente strumentali promuove una prosa letteraria che aspira a nuove carte di nobiltà al di là di quelle tradizionali funzioni informative nel senso più corrente trasferite ormai ad altri canali. Perciò il giovane scrittore tende a scrivere oggi racconti, brevi o meno brevi, piuttosto che improbabili telenovelas a stampa, perciò è anche nei racconti di un esordiente come Mario Fortunato che il recensore può verificare la presenza del nuovo, la valorosa ricerca di uno stile e quella strenua sconfessione del luogo comune che è da sempre funzione non ultima della letteratura, della poesia.
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