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Il lupo della steppa non può che essere disgustato del mondo attorno a lui, e possiede anche le armi culturali e di sensibilità per corroborare il suo disgusto, per argomentarlo. Eppure quello stesso mondo che lo allontana suscita in lui un'acuta nostalgia , per quanto rivolta a qualcosa di mai avuto ed anzi di mai esistito. Il senso di mancanza è quindi diretto ad un mondo che non può esserci. e che però sembra solido sotto ai piedi. Di questa illusione si alimenta il mondo nel suo girare, e grazie a lei diventa sempre più nefando e realmente inospitale. E' il rimando di un'immagine da specchio a specchio, in un soffocare di solitudine e di perdita di senso e di vigore esistenziale. L'avventura sensuale di immersione nella materialità più spiccia e smaccata sembra dare al lupo l'alimento cui anelava, ma è illusione tanto quanto il soffocare di prima e gli eccessi di cui il lupo finisce col dimostrarsi capace, non sono nulla: lo specchio si infrange. C'è un palese clima psichedelico nel montare degli isitinti liberati del lupo, ma questo è un percorso che conosce una fine tragica e nella sua fine il suo senso. E' come se Haller abbia sperimentato un'avventura di "dereglement" rimbaudiana, fulminea e presuntuosa, ma precipitata quasi subito. e dal quel deserto dove giace dopo la disavventura, nella medesima notte, i suoi occhi si rivolgono al cielo ed è forse possibile allora immaginare "il canto dei cieli e la marcia dei popoli". Romanzo fondamentalmente difficile da comprendere, perchè sembra privo della spiritualità essenziale di Hesse, e ne è invece punto d'origine.
L'essere umano è come un lupo, guidato da istinti egoistici, o un essere spirituale, ispirato dai valori più nobili? Il protagonista del romanzo, Haller, si dibatte tra questi due estremi, con ‘l’altro se’ sempre critico qualsiasi cosa faccia e così conduce una vita infelice. Alla fine gli viene rivelato/sembra capire che l'uomo è sia una cosa che l'altra e che può essere felice se lascia spazio all'umorismo, ovvero se smette di prendersi troppo sul serio, e se inizia ad amare, ovvero se trascende se stesso. Mi piace Hesse, ho amato alcuni suoi libri, ma questa opera non mi ha conquistato. Forse perché il protagonista non sembra soffrire veramente ma solo tormentarsi intellettualmente, e anche quando pensa al suicidio non sembra un vero possibile suicida ma solo un intellettuale che si trastulla con l'idea del suicidio (passa troppo velocemente e facilmente da un atteggiamento estremo all'altro), e neanche alla fine sembra acquisire un vero equilibrio "maturo", non superficiale, ... P.S. Il libro non mi ha appassionato ma trovo assurda la critica secondo cui Hesse avrebbe scritto le sue opere per fare un’apologia della cultura beat. “Siddharta” è del 1922, “Il lupo della steppa” del 1927: basta la cronologia per capire che sono opere che non possono essere attribuite a qualcosa che nascerà solo 20-30 anni dopo.
Un capolavoro. Per iniziare questa recensione forse è la parola più azzeccata per descrivere il lupo della steppa. No. Non mi sento un lupo della steppa. Non mi sento Harry. È la storia di una malattia. Una malattia della mente. E questa malattia porta un uomo ad avere una scissione interna. Una scissione dell'anima. Essere uomo e bestia. E non solo. Qui abbiamo la scoperta del proprio io. Dei tanti io che ognuno ha dentro di se. La scoperta dell'amore. La scoperta della vita stessa. Il protagonista fa un cammino. Ed il suo cammino lo porta alla scoperta. Scopre nuovi mondi. Nuove emozioni e sensazioni. Di scoprire se stesso. La domanda che mi pongo alla fine di questo libro è solo una. Chi è il lupo della steppa? Ma soprattutto, è davvero esistito questo lupo della steppa o è solo nella mia testa?
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