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Pubblicato per la prima volta a Leningrado nel 1963 come un «racconto fiaba», dove accadono cose portentose, a dimostrare che non «sempre i prodigi portano fortuna».
scheda di Piretto, G.P., L'Indice 1990, n. 6
"Maggie a Leningrado" è una sorta di fiaba la cui morale è: non sempre i prodigi portano fortuna. Narra di un ragazzino, Tolik, che trova accidentalmente una scatola di fiammiferi il cui uso gli procura una lunga, forse troppo lunga, serie di avventure che valgono come altrettanti ammaestramenti morali. Le evocazioni o le reminiscenze letterarie che si succedono durante la lettura sono molte, siano esse volute o no: dal Bulgakov del "Maestro e Margherita" a "Peter Pan*, dal "Cavaliere di Bronzo" puskiniano a "Pinocchio". Ma sono presenze superficiali e artificiali su uno sfondo narrativo che sta fra la realtà e la fantasia, senza mai chiarirsi, e che si protrae senza scegliere fra l'immediatezza e la semplicità della fiaba e la profondità dell'utopia. I desideri che il protagonista riesce a vedere esauditi grazie ai fiammiferi magici lo portano a diventare l'eroe della scuola, il cocco della mamma, l'uomo più forte del mondo, ma gli fanno perdere umanità e autenticità, fino a trasportarlo in un mondo incantato (il paese dei balocchi?), dove regna un mago, un ragazzino che colleziona e moltiplica le scatole di fiammiferi magici, ricco di poteri ma bisognoso di compagnia e amicizia. Il tutto sullo sfondo puramente logistico di una Leningrado da cui non traspare nulla della sua autentica tradizione di arcano. Il finale consiste in un'ovvia scelta da parte di Tolik di tornare a essere un "ragazzino per bene", nell'ambito agognato e mai abbastanza apprezzato della quotidianità d'un tempo, non contaminata e turbata dalla magia.
Pubblicato per la prima volta a Leningrado nel 1963 come un «racconto fiaba», dove accadono cose portentose, a dimostrare che non «sempre i prodigi portano fortuna».
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