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Anno edizione: 2011
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Tanti i racconti sulle malefatte dei giudici, pochi i riscontri certi ed oggettivi. Per avere credibilità, il giornalismo di inchiesta, ben fatto, deve riportare fatti precisi, citare la fonte e valutarne l'affidabilità. In questo caso, a volte, a conferma si cita il titolo di prima pagina di un quotidiano o l'affermazione del politico, quasi mai l'estremo di un documento ufficiale. In verità, mi aspettavo una analisi approfondita sulle leggi e regolamenti che privilegiano i magistrati, sui dati aggregati a diversi livelli che facciano comprendere quanto diffuso è il malcostume e dove si concentra. Queste informazioni ci sono solo in parte, riportate però, in modo disorganico ed incompleto, in un caso poi le valutazioni aritmetiche sono clamorosamente sbagliate (cap. 1 "prendi i soldi e piangi" pag 62). In sintesi un pessimo esempio di giornalismo d'inchiesta. Ciò nonostante, nel complesso, emerge una magistratura in cui alcuni elementi sono fannulloni, indegni di giudicare l'operato altrui, impuniti e impunibili grazie anche alla legge Vassalli, che non consente di valutare interpretazioni temerarie o singolari delle leggi da parte del giudice. A ciò si aggiunge, l'inefficienza della stessa magistratura nel giudicare i propri appartenenti, creando situazioni paradossali: i ritardi, nei procedimenti avviati per punire altri ritardi, generano ancora procedimenti per punire i ritardi delle azioni giudiziarie avviate per sanzionare i ritardi: comico a dirsi, desolante nella sostanza. Tra tutti emerge un dato assurdo: da una parte i giudici lamentano una carenza negli organici, dall'altra, un numero esagerato di giudici sono posti fuori ruolo o autorizzati dal CSM ad eseguire incarichi extragiudiziari ed i costi dell'apparato sono complessivamente spesso superiori a quelli di altri paesi con una giustizia più efficiente. Nel complesso un libro che, a mio avviso, non raggiunge la sufficienza. Peccato!
Questo libro dovrebbe essere letto nelle scuole, per la chiarezza ed il coraggio col quale denuncia gli abusi e le disfunzioni (intollerabili!) di un potere giudiziario divenuto - solo in Italia! - esorbitante ed inefficiente, oltre che iper-politicizzato. Solo in Italia non esiste alcun criterio veramente meritocratico, col quale sanzionare i magistrati inefficienti, o incapaci, o iper-politicizzati e "divi" mediatici, e premiare i migliori (che pure esistono). E non a caso la "giustizia" italiana è agli ultimi posti, in Europa e nel mondo, secondo stime imparziali di organi internazionali quali Banca mondiale, OCSE, ecc. E' il sistema che non funziona, anche a causa della intollerabile (all'estero non è così) politicizzazione del CSM, unico organo che dovrebbe controllare disciplinarmente i magistrati, e invece li assolve sempre. Qui qualcuno, arrampicandosi sugli specchi, ha parlato di dati non aggiornati, in questo libro, ma non è così! Io conosco personalmente un magistrato che riesce a prendersi 8-9 giorni di ferie ogni due mesi (oltre quelle estive!), per andare a giocare tornei sportivi. Ditemi voi quale azienda non fallirebbe, se i suoi collaboratori "lavorassero" così, con stipendi altissimi come quelli dei magistrati, e con milioni di processi arretrati, che si trascinano a volte per decenni. No, non prendiamoci in giro! Andate in Francia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna, USA, ecc., e fatevi un giro nei loro tribunali. Vedrete la differenza tra sistemi giudiziari efficienti e moderni, e quello medievale - coi magistrati considerati intoccabili come grandi sacerdoti - dell'Italia. Il titolo di Livadiotti è azzeccatissimo: è solo una ultra-casta, i cui privilegi e i cui errori l'Italia non può più permettersi, e che vengono pagati a caro prezzo da tutti noi cittadini.
E' un libro di denuncia che fornisce una serie di informazioni allarmanti, solo parzialmente già conosciute alla parte più informata del grande pubblico, per cui difficilmente si può pensare che non si renda necessaria una profonda riforma del sistema giudiziario italiano, anche facendo tabula rasa di alcuni enti ed alcune pratiche. Particolarmente umilianti per il cittadino italiano che continua - nonostante tutto - a credere nelle istituzioni sono i dati comparativi, da cui emergono differenze abissali (soprattutto in termini di costi) con le esperienze di altri Paesi occidentali con cui solitamente ci confrontiamo. Ciò detto, il libro ha uno stile volutamente e ostinatamente polemico, il che va a discapito della credibilità del suo autore e delle tesi che espone. Con dati alla mano incontestabili non c'è bisogno di attaccare o fare ironia su questo o quel magistrato, questa o quella pratica, questo o quel politico: se i dati sono scandalosi, parlano da soli. L'autore dovrebbe mantenere il necessario distacco. La prima cosa che mi è venuta in mente appena completata la lettura è che i concetti ivi espressi avrebbero potuto essere trattati con meno della metà delle pagine, e che il libro abbia una lunghezza "artificiale" per giustificarne il prezzo, o renderlo più credibile. Non credo tuttavia che si possa definire un'opera scientifica, ma piuttosto va considerato un lunghissimo - e spesso noioso - articolo di giornale. Inoltre, visti i tempi che corrono è legittimo avere il dubbio che il testo sia stato scritto in appoggio alla prossima riforma del sistema giudiziario, nonostante l'autore sia un giornalista del gruppo "L'Espresso". Dubbio rafforzato dal fatto che il testo è stato - con ovvia evidenza - redatto in gran fretta. In breve: ci sono spunti interessanti e i problemi ivi denunciati esistono eccome, ma il tutto avrebbe potuto essere presentato molto meglio nella forma e con maggiore credibilità nello stile e nei contenuti. E' un'occasione mancata. Non vale la pena spenderci 17 euro.
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