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Riccardo Nencini,«mugellano di nascita e fiorentino d’adozione» (come viene definito da Franco Cardini nella sua affettuosa introduzione), ha pubblicato per Polistampa un saggio illustrato sulla vita e l’opera di Giotto: una settantina di appassionate e animose pagine che l’autore dichiara «figlie di una lunga ricerca d’archivio e di almeno una decina di conversazioni» con autorevoli storici e critici d’arte. In uno stile discorsivo e spigliato, Nencini si rivolge al lettore con un reiterato intercalare che sembra sollecitare non solo partecipazione e condivisione, ma addirittura consenso e solidarietà con le sue tesi («Immagina gli effetti», «Intendiamoci bene», «Giudica tu», «Veniamo al dunque». «Ora ascoltami bene» …). Il volume illustra inizialmente il ruolo di faro intellettuale che tra 1200 e 1500 rivestiva Firenze, culla di letteratura e arte, di commerci e prezioso artigianato: «fucina della conoscenza e del benessere». Quindi passa a indagare il paesaggio, aspro e seduttivo insieme, del Mugello, supponendolo verosimile scenografia degli affreschi giotteschi. In particolare, Nencini teorizza una corrispondenza geografica tra l’affresco dipinto ad Assisi “Il Miracolo della sorgente” e la cascata del torrente Rovigo, stretta tra gole rocciose che ricordano lo sfondo del quadro, fornendo testimonianze iconografiche della sua ipotesi. Da qui prende avvio la convinzione, suggestiva e polemica, che pretende Giotto nato non a Firenze, come vorrebbe la tradizione, ma proprio nel Mugello. E per precisione a Colle, allora frazione di Vespignano, nel 1267: non da una famiglia di contadini o lanaioli, bensì da un fabbro di nome Bondone di Angiolino. L’autore basa questa sua tesi su numerosi dati d’archivio, fonti letterarie, ricostruzioni genealogiche, atti notarili e certificazioni di investimenti immobiliari. Un’accurata ricerca, la sua, a cui non è estranea forse una punta di orgoglio campanilistico, oltre al legittimo desiderio di ripristinare la verità storica.
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