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Toni drammatici, in cui è quasi palpabile la disperazione di un uomo che non riesce a contenere sè stesso, i suoi sentimenti, che da qualcosa di meraviglioso, poichè vi è qualcosa di straordinariamente bello e puro nell'amore, mutano in qualcosa di terribile. Una follia incontrollata che nasce dal profondo, per poi espandersi come le piaghe di una malattia dove il dito che le tartassa è il silenzio, la non comunicazione, che stridono con i rumori della guerra nel mondo al di fuori di quella casa, al di fuori di quel sanatorio. Decisamente da leggere.
Recensioni
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recensione di Bartuli, E., L'Indice 1997, n.10
"Malati d'amore" (il cui titolo originale, se tradotto letteralmente, suonerebbe pressappoco "la gente della passione" ma non restituirebbe affatto le appassionate e appassionanti implicazioni psicologiche che tali parole provocano nell'immaginario di un lettore arabofono) narra la storia di un uomo e del suo amore totale e totalizzante per una donna. Attraverso la voce del protagonista, Hoda Barakat - quarantacinquenne scrittrice libanese che da otto anni vive a Parigi - ricostruisce, partendo dalla fine, il dramma di un amore talmente forte da condurre alla morte fisica uno dei protagonisti e all'internamento in un ospedale psichiatrico l'altro.
"Malati d'amore" è un libro totalmente arabo ma, al contempo, difficilmente collocabile in una dimensione completamente araba. È arabo nel suo sfondo, la guerra civile che ha insanguinato il Libano e le cui ferite non cessano di suppurare ancor oggi. È arabo nell'accezione data alla dimensione temporale, spazio in cui ore e giorni scorrono lenti e senza frenesie di sorta. È araba anche l'attenzione, costante, data ai particolari più che al quadro complessivo. È arabo nel suo dipingere la pazzia non come malattia da disprezzare e temere, quanto come potenzialità aggiuntiva dell'essere umano. È arabo nel suo paradossale ondeggiare tra apologia della passione amorosa e pragmatica accettazione dell'unione uomo-donna in quanto contratto commerciale. È arabo, infine, nel suo essere portavoce di un universo maschile in cui la presenza femminile è solo presupposto di maschili sentimenti.
Non è arabo poiché il Libano potrebbe essere la Jugoslavia (o il Burundi, o l'Irlanda) e nulla cambierebbe nella trama o nel sentito dei personaggi. non è arabo poiché la quasi maniacale attenzione alle infinite sfumature della mente umana in preda all'assenza e al dolore denota una completa accettazione del concetto di individualità, cifra poco consona alla ragione araba. Non è arabo poiché le sottili arti amorose sono studiate e vivisezionate con una cura mai dimentica del substrato culturale da cui scaturiscono. Non è arabo, infine, poiché, sebbene narrato in prima persona maschile, è un libro femminile nel senso pieno del termine.
Hoda Barakat, nel suo dichiarato intento di essere osservatore esterno degli avvenimenti, riesce magistralmente a fondere nell'io narrante l'essenza maschile che si alimenta soprattutto di "non detto", di supina attesa di riconoscimento, e il suo opposto, la connaturata attenzione per il diverso insita nell'universo delle donne. Nel seguire la forza "malata" dei suoi sentimenti, il protagonista viene a trovarsi escluso dalla "comunità dei maschi" e ripropone, nel privato, quanto già emerso durante gli anni della guerra civile: "Gli uomini che si sono rifiutati di scegliere da che parte stare hanno visto mettere in dubbio la loro virilità. Cosa c'è di peggio per un uomo orientale?".
Eppure, a dispetto dei costi, appartenere a pieno titolo alla "gente della passione" e dalla passione lasciarsi trascinare fino alle estreme conseguenze sembra essere, per l'autrice, una condizione esistenziale invidiabile e improrogabile.
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