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Quando, nel 1938, Eugenio Colorni viene arrestato, il quotidiano "Trieste Sera" lo presenta con un titolo a forti tinte: La tenebrosa figura dell'antifascista ebreo Prof. Colorni. Gli fa eco il "Corriere" milanese: La trama giudaico-antifascista stroncata dalla vigile azione della polizia. L'ambigua figura del professor Colorni arrestata a Trieste. Colpisce l'insistenza con cui l'arrestato è definito "professore": l'intenzione dei titolisti non sembra tanto quella di informare sulla sua professione (insegna filosofia in un istituto magistrale), quanto quella di sottolineare la sua appartenenza a una categoria a priori sospetta, sulla quale è rassicurante che si abbatta la mano vendicatrice dell'autorità giudiziaria. Ma è certo come cospiratore, non come intellettuale, che Colorni viene arrestato; lo scopo della polizia è impedire i suoi contatti con i fuorusciti italiani che ha incontrato l'anno precedente a Parigi. Eppure l'enfasi della stampa sulla sua figura di "professore" coglie nel segno: l'incompatibilità di Colorni con il regime fascista e la sua determinazione nel combatterlo sono radicate nella sua personalità intellettuale aperta a tutti gli stimoli della scienza e della filosofia novecentesche, nel suo pensiero insofferente di ogni dogma e di ogni costrizione. Questa bella edizione dei suoi scritti, nel centenario della nascita, offrirà a nuove generazioni di lettori l'occasione di rendersene conto direttamente.
L'itinerario filosofico di Colorni, ricostruito dal curatore nel saggio introduttivo con grande precisione e ricchezza di riferimenti, è comune a molti della sua generazione. Comincia, inevitabilmente, all'ombra di Croce; ma non tarda a emanciparsi, prendendo le distanze dall'edificio di un sistema troppo chiuso nella propria autosufficienza. Ed è proprio l'ammirazione, che confermerà sempre, per lo "spirito sperimentatore indefesso" di Croce, a condurre Colorni lontano dal crocianesimo. Nella sua personale sperimentazione si nutrirà degli stimoli più diversi (dal Leibniz studiato sotto la guida di Martinetti, al Freud letto per suggerimento di Umberto Saba, da Mach a Scheler, da Nietzsche a Bachelard), sempre mantenendosi fedele alla lezione di Kant: "La filosofia odierna scrive nel '38 anziché costruire bei palazzi di cartapesta, dovrebbe raggiungere risultati il più possibile concreti. Dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi ermeneutici coi quali affrontiamo il reale". "Le chiavi che abbiamo in mano" sono per Colorni i concetti fondamentali di tutte le scienze, da sottoporre alla più radicale delle revisioni; in una prospettiva non meno rivoluzionaria dovrà porsi anche il filosofo, mutuando da Nietzsche e da Freud la certezza che il materiale del suo lavoro "è la sua vita stessa". La vita di Colorni sarà spezzata, il 28 maggio del 1944, dalla banda Koch, che lo abbatterà in una via di Roma, mentre si reca a una riunione clandestina. La prigione e il confino non saranno stati sufficienti per ridurre all'impotenza quel "professore" dipinto a tinte fosche dalla stampa di sei anni prima: tra politica e filosofia, senza discontinuità, la sua militanza a favore della ragione non avrà conosciuto cedimenti.
Mariolina Bertini
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