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Negli anni novanta, ad ogni angolo della strada di qualsiasi città del sud Italia, c'erano le “bionde”. Su bancarelle arrangiate, o negli androni seminascosti dei quartieri popolari, a vendere le sigarette di contrabbando potevi trovare tanto il “padre di famiglia”, in cerca del fatidico milione di lire mensile per poter campare, quanto l’extracomunitario o molto spesso anche dei bambini: stecche di sigarette delle marche più note, senza il timbro dei Monopoli di Stato, piazzate a qualche centinaio di lire in meno rispetto al prezzo ufficiale. Ma quello era solo “l'ultimo miglio” di un sistema ramificato e perfettamente organizzato che Alessandro Leogrande - vicedirettore del mensile “Lo straniero” e collaboratore de “Il Riformista”, “Il Corriere del Mezzogiorno” e de “L'Unità” - cerca di spiegarci nel suo saggio “Le male vite: storie di contrabbando e di multinazionali”, straordinario reportage uscito nel 2003 ed ora riproposto dalla casa editrice Fandango. Il saggio di Leogrande descrive con minuzia i meccanismi complessi che il sistema ha generato nel giro di pochi anni, interfacciandosi e diventando linfa vitale per altri traffici come quello di armi, droga e persone (restando però il traffico più remunerativo), ma soprattutto dando il via alla nascita di una criminalità sempre più capace di relazionarsi con il grande capitale internazionale. Le nuove mafie si muovono lungo la linea a tratti sbiadita che separa l'economia legale da quella illegale, e lo fanno traendo enorme vantaggio sia dalla fragilità delle misure di controllo nazionali, sia dal liberismo dissennato propugnato dalle multinazionali più potenti che vorrebbero sempre meno lacci alle transazioni finanziarie.
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