Quanto mai opportuno, in questa fase storica e politica, il forte richiamo di Nando dalla Chiesa a ripensare profondamente l'antimafia. Il libro mette a fuoco soprattutto il versante dell'antimafia sociale, lasciando più in secondo piano altre dimensioni, su cui pur non mancano importanti riflessioni. Il "manifesto" è infatti rivolto esplicitamente alle associazioni e al movimento antimafia, con l'obiettivo di fornire una bussola per capire la mafia e mettere in atto strategie efficaci per contrastarla. L'assunto di fondo è che, per combattere la mafia, bisogna innanzitutto conoscere e saper riconoscere il nemico. I primi capitoli sono dedicati a presentare una sintesi delle conoscenze acquisite dall'autore nel corso della sua lunga esperienza sia nel ruolo di "attivista" della società civile sia in quello di docente e ricercatore nel campo della sociologia. L'attenzione è rivolta soprattutto ai processi di espansione dei gruppi mafiosi nelle regioni del Nord Italia e al funzionamento della zona grigia, dove sta la vera forza della mafia, costituita fondamentalmente dai rapporti di collusione e complicità. La seconda parte del volume si concentra sul "campo di battaglia" e sulle "infrastrutture" necessarie per un'adeguata azione antimafia, delineando una serie di interventi possibili anche nel breve e medio periodo. Le organizzazioni mafiose riescono a infiltrarsi e radicarsi nel tessuto economico e sociale non solo grazie alle loro capacità strategiche, ma anche e soprattutto perché sono favorite da una rete diffusa di complicità e, al tempo stesso, da una spessa coltre di ignoranza. L'azione antimafia non si mostra all'altezza del compito da affrontare. Da questo punto di vista, è sottoposta a dura critica l'antimafia "creativa", quella che nel dibattito pubblico dispensa a ruota libera tante corbellerie. Il binomio complicità-ignoranza rafforza l'invisibilità delle mafie, rendendo più difficile il loro riconoscimento nelle aree di nuova espansione territoriale. Esse hanno successo perché possono contare sul sostegno, esplicito o implicito, di tre "categorie antropologiche", che dalla Chiesa etichetta come "complici", "codardi" e "cretini". I primi sono i fiancheggiatori, corrotti e collusi, mentre i secondi sono quelli che per viltà "non vedono, non sentono e non parlano". L'ultima categoria è tutt'altro che residuale: i cretini non sono solo persone ignoranti, ma anche caratterizzate da "inettitudine alla vita pubblica" in un contesto dominato o aggredito da una presenza mafiosa. Per contro, il movimento antimafia è considerato come "avanguardia della società legale", che però si muove in un campo "mobile" e "contradditorio". È importante riconoscere i grandi passi in avanti degli ultimi trent'anni: un bilancio che dalla Chiesa considera estremamente positivo. Il cammino percorso ha indubbiamente prodotto una situazione di minor favore per la mafia, quindi è sbagliato sostenere che essa sia più forte di prima. Ma il movimento antimafia è chiamato adesso a fare un salto di qualità, attrezzandosi in modo adeguato sul piano culturale e morale. Non è più sufficiente accontentarsi di discorsi infuocati in grado di trascinare le folle, seminando qualche valore positivo. Chi parla di mafia ha anche il dovere di dire cose sgradevoli, deve rompere certezze: "deve far pensare, più che prendere applausi". La scena antimafia è infatti oggi affollata da personaggi che cercano soprattutto di sedurre l'opinione pubblica, proponendo letture semplicistiche del fenomeno, che assecondano luoghi comuni e stereotipi, raccogliendo un consenso tanto facile quanto aleatorio. È questo uno dei principali punti di debolezza del movimento antimafia, attratto e affascinato da visioni eroiche e sensazionalistiche, ma in realtà sempre più contraddistinto da bassi livelli di senso critico e di consapevolezza, "incapace di selezionare e valutare adeguatamente fatti, storie e persone". L'autore fornisce una serie di indicazioni, anche di tipo operativo, per invertire la tendenza, individuando i terreni privilegiati su cui concentrare le energie nella politica, nell'imprenditoria e nella magistratura. Anche nei confronti di quest'ultima dalla Chiesa non fa mancare le sue critiche, sostenendo che essa costituisce "spesso una remora allo sviluppo di una lotta coerente alla mafia", soprattutto al Nord. Sono però messi in luce anche gli elementi positivi che sempre più stanno crescendo nell'ambito del movimento antimafia: da un lato, la trasformazione della conoscenza in un fattore generativo di azione; dall'altro, lo sviluppo della dimensione organizzativa del movimento stesso. L'analisi di dalla Chiesa decostruisce dunque l'impegno antimafia e lo rilancia. Merita indubbiamente un dibattito approfondito. L'ottica privilegiata è quella della mafia (più specificamente della 'ndrangheta) al Nord, per cui a volte si ha la sensazione che resti un po' troppo sullo sfondo il Sud, ovvero le specificità delle aree di insediamento tradizionale caratterizzate da differenze nella presenza mafiosa e da peculiarità rispetto allo stesso movimento antimafia. C'è quindi da augurarsi che il libro faccia anche da apripista per esplorare ulteriori aspetti e dimensioni dell'azione antimafia. Rocco Sciarrone
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