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“Il mantello di Rut” di Paolo Rodari è un romanzo, edito @feltrinelli_editore, che accarezza l’anima e invita il lettore a riflettere profondamente. Un destino segnato dalla Storia. Roma, 1926. Remo, un ragazzo di soli dodici anni, viene lasciato dalla madre all’ingresso del Seminario Pontificio. È un gesto disperato di una madre vedova, carica del peso di quattro figli da sfamare. Anni dopo, nel 1943, Roma è sotto l’occupazione tedesca, e Remo, ora parroco, vede la sua vita sconvolta da un incontro destinato a cambiare tutto: Rachele, una giovane vedova, gli affida la piccola Aida. Quel gesto di protezione e amore diventa il fulcro di un racconto ispirato a eventi reali della #Shoah romana, dove il coraggio e la fede si intrecciano in una danza di speranza e redenzione. Nel suo viaggio interiore, Remo ci guida attraverso i momenti cruciali della sua esistenza. E lo fa attraverso un lettera. La sua storia è una lunga confessione, un tentativo di riannodare i fili del passato. Una vita segnata da tante mancanze, ma con l’arrivo di Rachele, la vita di Remo prende una svolta inaspettata. L’amore che prova è un fiume che rompe gli argini, sfidando le regole e le convenzioni. È un amore che porta con sé il coraggio di compiere scelte difficili, vissute con un eterno rimpianto, ma anche con una straordinaria forza interiore. Mi sono commossa tanto leggendo “Il mantello di Rut”, perché é una storia che tocca il cuore con la sua semplicità e profondità, affrontando temi complessi come l’amore, la religione e la libertà con una chiarezza disarmante.
Romanzo breve, scorrevole, profondo ed emozionante. In nemmeno 130 pagine affronta in modo non superficiale molti temi: la vocazione religiosa, le conseguenze dell’innamoramento di una donna da parte di un prete, l’antisemitismo, la violenza e l’oppressione fascista e nazista nella Roma del 1943-1945, il ruolo della Chiesa e dei singoli preti, i rapporti familiari e il peso (in questi ultimi) dei non detti, l’importanza di fare ciò che si ritiene giusto per sé. Da leggere.
La penna di Paolo Rodari è sempre una garanzia per me (e per molti altri). Questo romanzo cattura fin dal titolo (non poteva essere più indovinato e pertinente) e si spiega lungo pagine che attraggono, conquistano e aprono scenari di immaginazione e di realtà capaci di orientare sentimenti idee ed azioni. Parlano di vite e di rapporti dolorosi, faticosi ma entusiasmanti, perché non c'è mai un evento, pur così devastante e umiliante, che possa frenare lo sviluppo di sentimenti autentici e puliti. Raccontano di esperienze vissute da molte donne, ebree cattoliche atee, da moltissimi presbiteri entrati in seminario da bambini e cresciuti inesperti affettivamente (e non solo), di amori impossibili ma anche realizzabili (molti preti hanno lasciato il ministero e si sono sposati), di una teologia che purtroppo nel passato - e non solo quello remoto - ha prodotto danni incalcolabili (i battesimi forzati di cui si racconta ne sono un esempio, ma anche la persistente regola del celibato obbligatorio che tanti danni e sconvolgimenti ha provocato, la morale immorale ancora insegnata ufficialmente dal Magistero, l'irresponsabile silenzio con cui vengono taciute questioni che andrebbero invece affrontate alla luce del sole, ecc...), di anni difficili e di vicissitudini terribili come quelle segnate dall'ultimo conflitto mondiale, dalle terribili leggi razziali... In poche pagine, Rodari condensa un'avventura che entra nelle fibre dell'anima e lascia un segno. Un segno di amarezza, di sofferenza... ma soprattutto di immensa speranza: la traccia di un amore vero e totalizzante non scompare, sopravvive a qualsiasi conflitto e persino alla morte stessa. L'autore è capace di offrire anche nuove chiavi di lettura teologiche. Personalmente vi ho scorto le idee teologiche di Carlo Molari ma anche di altri teologi contemporanei, che offrono nuove prospettive per ri-comprendere la fede. Un libro che consiglio vivamente di leggere e rileggere!
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