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Apprezzo molto l'esperienza teatrale di Marco Paolini: essa testimonia una coerenza autentica, rara, morale ma mai pedante, sempre lucida, misurata ed opportuna. Aiuta, in questi tempi troppo virtuali, a far capire la vera natura delle cose e le ragioni profonde dell'agire dell'uomo. Un libro da leggere con interesse, una videocassetta da guardare con passione e, sopratutto, un attore ed un autore da rispettare ed applaudire perchè ci aiuta a riscoprire il valore delle radici, dei ricordi, delle tradizioni e a non accettare la banalità, la volgarità e l'arroganza delle convenzioni e dei luoghi comuni. E in questi tempi, quanto è raro incontrare una persona di spettacolo che non crede che il fine di tutta la propria attività sia essere ospite fisso nei salotti televisivi! Anche per questo ascoltare un brano di questo attore è come bere un bicchiere d'acqua fresca in una torrida giornata d'estate: un vero sollievo. Per chi vuole saperne di più c'è il sito www.marcopaolini.com.
Recensioni
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Il teatro come mappa e come mondo: è questa bipolarità che Paolini cerca di far vivere nei suoi spettacoli, col rischio di spingersi al limite del teatro fino al punto di non sapere se vi è ancora dentro. Ma il mondo, la realtà, urgono troppo per restare fuori, e così l'attore "esce" a un certo punto lui stesso dal teatro, rinunciando alle potenzialità spettacolari, entrando e uscendo dalla finzione teatrale, accettando il senso dell'incompiutezza: scava nella memoria personale e collettiva (il Racconto del Vajont, teletrasmesso, non è che uno degli esempi più noti) e cerca di condividerla o risvegliarla presso gli spettatori, ricostruendo una nuova cartografia della memoria e dell'oblio. L'orto, uno dei quattro "bestiari veneti" (raccolte di materiali e spunti da cui nascono gli spettacoli) di cui attraverso il video assistiamo alla preparazione, è un po' metafora del suo teatro e del suo modo di lavorare. Che è un lavoro che parte dall'osservazione, che compie perennemente salti di scala, dal piccolo al grande, dal generale al particolare, dall'astratto al concreto, dove il ruolo dell'attore, vero e proprio "archivio vivente", è soprattutto quello di testimone. Attraverso una narrazione che, come per i "ruzanti" della storia, è in un certo senso senza una morale, perché più che dare risposte all'attore interessa porre domande, incrinare la nostra percezione del mondo attuale e ricreare una "comunità teatrale". Se "l'orto è parte di una geografia più grande che è questa terra (...) di cui prendersi cura", Paolini lo fa raccontando e scegliendo le parole del dialetto perché impastate con la terra (molti gli autori e poeti veneti cui fa riferimento, a partire da Meneghello), ed è forse proprio il dialetto che permette al suo teatro di non perdere mai il contatto con la realtà, col mondo. Questo è, dopo sei libri di Paolini, il primo su di lui: Marchiori, cosciente della complessità del campo di indagine che sfugge ai consueti parametri della critica, adotta in un certo senso il suo stile, accompagnando alla visione panoramica e d'insieme un'accurata ricostruzione del percorso dell'attore-autore-regista veneto in senso diacronico e spaziale, dalle primissime esperienze teatrali fino alla versione nel febbraio 2003 a Venezia di Storie di plastica, con uno stile sempre essenziale che rivela la capacità di non chiudere o classificare l'esperienza dell'artista, ma piuttosto di cogliere passaggi o suggerire collegamenti. Il video, funzionale al libro e realizzato con disparate tecniche di ripresa, è l'interessante documentazione, attraverso le prove per la ripresa televisiva del Milione e per la creazione del bestiario veneto dell'Orto (estate '98), di un modo di intendere e di fare teatro, che mette bene in luce il carattere di work in progress del lavoro dell'attore e il suo rapporto fondamentale con la musica.
Maria Riccarda Bignamini
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