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Se dovessimo risalire la genealogia del poemetto narrativo, troveremmo Santi e il suo "ragazzo x". Domanda: vi immaginereste un libro di poesia su un esperimento di eugenetica/clonazione? Santi immagina una contemporaneità (iper-contemporanea) fantascientifica di tutto rispetto: una famiglia può scegliere, per il proprio bambino, i geni di chi vuole, perché no: di Leopardi. Ecco che il baronetto si muove a fatica nella contemporaneità e si perde nei paradossi, di lingua e di storia. Ma Santi è anche un grande scrittore di poesie più brevi della forma poemetto. Come dimenticare il suo Brecht ("vita assassina come farò / a chiamarti bellissima?").
Finalmente un giovane poeta linguisticamente maturo e intelligente! Altro che Bernini, Pellegatta o Ponso. Giù il cappello.
Dopo aver letto la premessa di Emanuele Trevi, il lettore si avvicina alle pagine di Santi con trepidazione e grandi aspettative, sperando di venire folgorato da qualche metafora, soluzione stilistica, idea illuminante e rivelatrice. Ecco quindi il poemetto iniziale in cui il poeta si finge ironicamente clone di un grandissimo di tre secoli fa: "mi sono ritrovato anch'io,/ per chissà quale oscuro evento,/ a nascere Giacomo Leopardi oggi,/ che responsabilità, a culo scoperto in pratica". Quindi il dialogo-rispecchiamento-sbeffeggiamento con le figure, i temi, il mondo e la filosofia leopardiana diventa un irriverente e polemico scontro con la tradizione, la storia passata, i maestri celebrati che più nulla sembrano avere da insegnare alla disperazione attuale: "vaghe stelle e solitarie notti da masturbare,/ e tu luna che fai tu luna?/ Abbandonato, occulto/ tutta la notte con in mano il rasoio/ del proprio cazzo?" Il percorso che il poeta traccia dall'Io all'Altro è quindi scandito nelle varie tappe della sua crescita fisica, culturale, professionale e sociale: dai primi turbamenti sessuali, agli scontri con l'ambiente familiare ("Odio questo/ Papà/ fatto di dialisi e di fernet/ che ha un inferno nel ventre./ Papà, cacca."), alla satira rabbiosa contro l'ambiente universitario. E il cerchio della denuncia civile si allarga via via fino a comprendere l'ufficialità culturale, il sindacato e il mondo intero, corrotto e mefitico. A cui Flavio Santi propone qualche sua ricetta di filosofica analiticità: "Il cazzo è condiloma dell'anima,/ sua antenna, escrescenza/ e mucosa. Dialogare col cazzo/ è dialogare con l'anima". Da riflettere, allora, sulle parole del prefatore Emanuele Trevi: "Non credo di esagerare affermando che queste "Mappe" sono un'opera di altissima ispirazione, un risultato poetico che non assomiglia a nessun altro". Forse (forse) esagera.
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