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Anno edizione: 2016
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Marcinelle, non escono nemmeno cadaveri
«L’ultima speranza è stata un pezzo di legno lungo più di tre braccia, a 1035 metri, dove c’era scritto con il gesso: “siamo una cinquantina e andiamo verso 4 Paume”, che era il numero della vena. Firmato “il capo Gonet”. Quando abbiamo aperto le porte, abbiamo visto quei cinquanta lì a terra, tutti morti». La strage nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, è scritta nella storia del movimento operaio internazionale: l’8 agosto 1956 alle 8 del mattino. C’è un incendio sotto, a 900 metri, che parte dalla cabina di un montacarichi per un cortocircuito. Un certo Iannetta, «uno piccolino che lavorava sempre lì», fa un errore mentre mette dentro l’elevatore i carrelli e trancia un cavo elettrico che con le scintille dà fuoco a una tubatura d’olio. Non ci sono estintori, non bombole d’ossigeno, non sistemi di comunicazione in salvaguardia. Non c’è niente: è una miniera tutta di legno – palchi, soppalchi, porte –, i carrelli di carbone li tirano i cavalli «ciechi e tristi, muoiono lì e non escono neanche quando diventano cadaveri», fumo, fiamme, gas, acqua gettata dai soccorsi invadono gallerie, cunicoli, scavi della miniera. Così – ai vari livelli, sino a 1035 metri – muoiono 262 minatori di 12 nazionalità, 136 gli italiani.
Il libro di Toni Ricciardi, Marcinelle, 1956, non si occupa della cronaca dei fatti luttuosi e quando lo fa – per l’intervento conclusivo di Annacarla Valeriano che chiude il volume «tra cronaca, documenti, immagini» – viene sopraffatto da precedenti poco superabili come La catastròfa di Paolo Di Stefano (Sellerio 2011). Ricciardi impegna le sue pagine a ragionare sui flussi e le cadenze dei processi migratori dall’Italia verso l’Europa, in particolare verso il Belgio: uomini in cambio di carbone, che è il motore di tutto, il petrolio del tempo. E parte dal ventennio fascista. Già lì, già allora – nel Paese dove si predica l’autarchia e si alimenta il mito di una razza che colonizza e insieme feconda le donne autoctone – si firmano, col Belgio, i trattati per carbone in cambio di braccia. Rapporti che continuano ad essere oggetto di accordi nel ’44 con il governo Bonomi, accordi infine sanciti dalle leggi (40 e 42) del 3 dicembre 1947, con l’approvazione generale del Parlamento: «tutti i partiti, nessuno escluso, sono favorevoli a scambiare minatori con carbone». Partito Comunista e Socialista, da poco all’opposizione, li votano.
Marcinelle 1956 ha all’interno un’antologia di foto dell’epoca: vedove, orfani, funerali e su due pagine la foto della gente che per giorni e notti ha aspettato ai cancelli notizie, sopravvissuti, salme, mentre la miniera bruciava. Una folla grande che potrebbe scatenarsi, radere al suolo gli impianti, distruggere il mostro che divora vite, inquina corpi; una folla che potrebbe occupare gli uffici dei dirigenti, alzare teste sulle picche, fare giustizia sommaria. Non succede niente a Bois du Cazier: le donne piangono, urlano, svengono, invocano il Volto Santo, il sudario che è la reliquia conservata nel santuario tra Manoppello e Lettomanoppello (certo, i nomi), i paesi da cui molti di questi ora morti con le loro famiglie sono arrivati. Per morire qui, tra vene di carbone e terra.
Recensione di Piero del Giudice.
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