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Anno edizione: 2010
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un'idea semplice e copernicana: raccontare l'immigrazione in Europa dalla sponda e prospettiva africana. per scoprire che si pescano pesci e ossa, ormai, in un cimitero chiamato Mediterraneo - e che questa, però, non è una "tragedia", così, impersonale, una fatalità: ma una responsabilità che ha nomi e cognomi. i nostri.
Recensioni
I racconti di mare non sono mai claustrofobici. Provvede il mare a provocare ogni volta, quasi in ognuno, quel misterioso senso di eccitazione festosa che ha a che fare con l'attesa, la partenza, il destino. Nel libro di Gabriele Del Grande il mare è una trappola infame costruita con cura e con dettagliata perfidia in modo che il rischio della natura (le onde, le tempeste) non sia che una parte, pur calcolata, del rischio. Ma traversare il mare non è più un rischio, non è più il destino. È un progetto di morte calcolato con cura. In mezzo al mare sei salvo o perduto, secondo le misteriose vicende che chiamavamo "fato". Nel "mare di mezzo" sei in preda a una libera e feroce caccia all'uomo. Questo è il libro di Gabriele Del Grande di cui stiamo parlando. Un libro di verità e di avventure, in cui accadono cose non credibili, e sono tutte vere. Hanno il suono di eventi dolorosi scoperti troppo tardi e che per fortuna non accadono più, e che invece sono il rapporto dettagliato della realtà ai giorni nostri. C'è, nel testo che stiamo discutendo, una sorta di sdoppiamento fra memoria, storia e cronaca, come accade quando parlano i sopravvissuti della Shoah. Per esempio: "Il 6 maggio 2009 le autorità italiane avevano intercettato nel Canale di Sicilia tre gommoni con 227 passeggeri. Per la prima volta in anni di pattugliamento venne dato l'ordine di respingere tutti in Libia, comprese quaranta donne. Una 'svolta storica', la definì l'allora Ministro dell'Interno Roberto Maroni". Ora duole dire a chi scrive questa nota che Roberto Maroni era, ed è, ministro dell'interno italiano, e che i "respingimenti" in mare, narrati in quella pagina per la prima volta, continuano ad avvenire nel silenzio di tutti, ma anche nella quasi totale ignoranza delle circostanze e delle conseguenze. Un esempio delle circostanze è stato rivelato da un errore della motovedetta italiana con equipaggio libico e italiano, che per errore ha fatto fuoco ad altezza d'uomo su un motopeschereccio italiano "credendo che si trattasse di migranti" (è stata la spiegazione delle prime ore fornita dal Ministero dell'interno). Un esempio delle conseguenze si è avuto sia dalle testimonianze del carcere libico nel quale sono stati a lungo detenuti, senza diritti e in condizioni disumane, i migranti eritrei di uno di questi carichi bloccati da libici e italiani "nel mare di mezzo", sia dalla vicenda che perdura mentre leggo Del Grande e mentre scrivo del suo libro, una vicenda che è la prova di un reato compiuto dalle autorità italiane, ovvero da un paese vincolato da trattati internazionali e dalle regole delle Nazioni unite: i respinti sono tutti in fuga dalla guerra eritrea, hanno diritto che sia esaminata la loro richiesta di asilo. E una parte di essi, come racconta il sacerdote cattolico Mussi Zerai, è ora del deserto del Sinai, nelle mani di pirati di esseri umani che li hanno messi in vendita (o a morte) al prezzo di diecimila dollari per uomini, donne e bambini incatenati all'interno di un contenitore. Ecco dunque il vero senso di un libro che è più di un "instant book": è un libro che racconta fatti e persone e tremende avventure mentre tutto accade in tempo reale. Non si pensi però a una fortunata vicenda editoriale. Il libro è in sincrono con i fatti, mentre i fatti avvengono perché un modo barbaro di governare consente di violare diritti umani e diritti costituzionali non soltanto una volta, non soltanto in una vicenda sbagliata, un fatto grave e isolato. No, la violazione è sistematica e continua, è la conseguenza di un trattato votato dal Parlamento italiano (purtroppo non solo dalla destra e dal governo) con pochi voti contrari. Ricordo volentieri il mio e quello di sei deputati del Partito radicale eletti nelle liste del Pd. Il trattato è uno stringente e vincolante patto di collaborazione (in certe materie di unione) fra un paese come l'Italia, vincolato dall'appartenenza all'Unione europea, alle Nazioni unite, dalla Carta dei diritti dell'uomo e da ogni altro vincolo di rispetto dei diritti umani e civili di ogni essere umano, oltre che dal dettato fondamentale della Costituzione italiana, e la Jamāhīriyya libica che fa parte delle Nazioni unite, ma non ha mai firmato alcun trattato sui diritti umani o civili e non consente agli uffici della Agenzia per l'immigrazione dell'Onu di operare in Libia. In questo modo è impedito qualsiasi controllo sulle condizioni legali, ma anche fisiche, di coloro che cadono in mano alle autorità libiche. Ma il crimine, come dimostra con la chiarezza e la perentorietà di un atto giudiziario il memoriale di Del Grande, non può essere messo a carico della Libia. Non da parte dell'Italia. Leggete queste righe: "L'unico che era riuscito a fare degli scatti fu il fotografo Enrico Dagnino, il 6 maggio 2009. Era sulla nave Bovienzo della Guardia di Finanza, che effettuò il primo respingimento. Le immagini mostrano i volti in lacrime di uomini inginocchiati di fronte alle divise bianche dei nostri militari. Imploravano di non essere abbandonati in Libia. Così come l'uomo nudo ritratto in un altro scatto mentre mostrava le cicatrici delle violenze subite nelle carceri libiche. Nelle altre foto si vedevano gli stessi uomini buttati a terra e trascinati di peso sul molo da poliziotti libici. E, sullo sfondo, il carro bestiame che li attendeva per il trasferimento in carcere, da dove sarebbero stati rimpatriati nel giro di qualche mese o di qualche anno, a seconda della nazionalità. Dagnino raccontò in più di un'intervista che gli fu chiesto dal Ministero dell'interno di non pubblicare quelle foto. Fu l'ultimo giornalista a essere accreditato per seguire i pattugliamenti nel Canale di Sicilia. Perché? Che cosa c'era da nascondere? E che cosa avevano da nascondere i somali respinti il 30 agosto se addirittura fu deciso di sbatterli in una galera in mezzo al Sahara, a mille chilometri da Tripoli? Sicuro che fosse tutto legale? Che cosa sarebbe successo, ad esempio, se avessero avuto accesso a un avvocato?". Ecco che cos'è Il mare di mezzo, un libro bianco su un'immensa indecorosa illegalità in cui l'Italia è protagonista, è colpevole e riesce, salvo documenti come questi, a nascondere il cumulo di violazioni alle leggi interne del paese e a quelle internazionali. Ciò che questo libro ci dice è che mentre leggiamo e scriviamo di queste cose, queste cose accadono, e non esiste neppure la possibilitò di sapere quali e quante sono le vittime, da quelle che finiscono senza testimoni in fondo al mare, a coloro che si vedono negato il diritto d'asilo (il che spesso vuole dire condanna a morte), a quelli che finiscono nelle prigioni libiche, che sono campi di sterminio non lontani dall'Italia finanziati dai venti milioni di dollari che l'Italia versa alla Libia in base al trattato che adesso lega, nel crimine di eliminare i migranti, i due paesi. Il mare di mezzo racconta che ci sono due grandi gruppi di vittime. Uno sono i migranti nei cui confronti l'Italia ha scelto di essere il paese più crudele e più profondamente legato alla violazione di ogni sentimento umano ma anche di ogni legalità. L'altro è l'Italia, o almeno i suoi cittadini che, tacendo e accettando, si rendono complici di un serie di odiosi delitti contro i più deboli e i più vulnerabili di questo periodo della storia. C'è un fondo cupo e triste, per questa poderosa e dolorosa cronaca della vita contemporanea che d'ora in poi costituirà un documento di base, una chiave di interpretazione di fatti altrimenti incomprensibili (gli ostaggi eritrei incatenati nel Sinai finché saranno venduti o ammazzati, come sta accadendo mentre scriviamo). La chiave è nel disinterese e nel silenzio dei governi del civile e presuntuoso Occidente, nella preoccupante assenza di un guida americana, nella colpevole astensione dell'Europa, commissione e parlamento, da ogni cosa che riguardi la tragedie degli immigrati. Il racconto di Gabriele Del Grande è un grande murale, alla maniera di José Clemente Orozco e Diego Rivera, in cui ciascun personaggio, per quanto piccolo, ha il suo ruolo ben visibile nella narrazione. Ma tutti insieme formano una grande e triste e allarmante visione complessiva del mondo in cui stiamo disinvoltamente vivendo e in cui l'Italia è protagonista negativo, a causa del suo cattivo governo tenuto in ostaggio dal partito xenofobo detto Lega Nord. Questa è la storia di leggi impossibili, di trappole malevole, di comportamenti di una parte opportunista e carrierista della burocrazia, che si assume il compito di applicare leggi assurde anche se sono vistosamente contro la Costituzione e contro i trattati che impegnano l'Italia su tutta la materia dell'immigrazione. Non lasciatevi ingannare dall'apparente racconto di avventure, con carceri paurose, viaggi d'avventura e di disperazione e personaggi, quasi tutti negativi, pronti a trarre un profitto politico, militare, economico, dalle azioni di violenza e prepotenza che sono anche una forte trama narrativa. È tutto vero e spaventosamente quotidiano anche se pretende di essere il prodotto di leggi democratiche approvate da parlamenti civili. Questo è il racconto di un brutto e non dimenticabile momento della storia italiana ed europea. È una testimonianza che bisognerà tenere a portata di mano per quando ci saranno i "processi", ovvero quei momenti di chiarezza e di giudizio che seguono simili disastri umani. Ma vorrei spiegare che è la ragione per cui ho proposto l'impossibile accostamento fra "mare" e "claustrofobia". In un'epoca come questa è la sola descrizione possibile. Il mare è una prigione. I carcerieri italiani e libici avvertono i migranti: scadenza mai. Furio Colombo
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