Cardini, già autore di un volume sul "Mondo", compone, quasi a prosecuzione, una distesa, dettagliata, documentata biografia di Pannunzio, direttore del settimanale e figura di un filone culturale che ebbe tanto indiscusso prestigio quanto ristretto ascolto. Meglio: le idee lanciate o le battaglie sostenute mossero le acque stagnanti dell'Italia centrista, come prima avevano offerto riferimenti non secondari alla piattaforma antifascista, ma non si incarnarono in un movimento solido. Il Partito radicale, fondato a Roma il 9 dicembre 1955, rimase una formazione viziata da un introverso elitismo, che l'avrebbe condannata a un rapido sfaldamento. La chiassosa diramazione che ha avuto in Pannella il suo mentore ha pochissimo a che vedere con la discrezione e l'equilibrio dei tanti intellettuali che riconobbero in Pannunzio molto più che un maestro di giornalismo politico. Con la consueta secchezza, Valiani gli scrisse nel dicembre '54: "Ci troviamo a discutere non della formazione di un governo e neppure di un alleanza di partiti, sibbene di un gruppetto intellettuale". Eppure, nella fucina del "Mondo" che chiuse l'8 marzo 1966 lavorarono fior di autori, personalità che mantennero ognuna una sua indipendenza e si distinsero per eleganza e dignità. A scorrere l'elenco dei nomi di coloro che frequentavano le stanze ovattate del periodico non si attenua l'ammirazione per un regista silenzioso di incontri e dialoghi. Né si resta insensibili di fronte alla lucidità di certi suoi giudizi: nell'aprile 1947 Pannunzio delinea un'alternativa secca: "In economia, e non solo in economia, ormai è chiaro, o si è liberali o comunisti". C'era del vero, ma gli impulsi di una società di massa richiedevano presenze fuori dalla portata di chi preferì la vis polemica delle "prediche inutili".
Roberto Barzanti
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