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Guenter Lewy è noto in Italia come storico delle politiche del Terzo Reich. Si vedano, a questo proposito, La persecuzione nazista degli zingari (Einaudi, 2002; cfr. "L'Indice", 2002, n. 9) e il voluminoso I nazisti e la chiesa, (Net, 2002). È stato docente di Scienza politica all'Università di Amherst, in Massachusetts, nei cui ruoli non figura più per l'anno accademico 2006-2007. La sua produzione scientifica è comunque decisamente orientata verso la storia contemporanea. Nel 1978 Lewy pubblicò per la Oxford University Press un discusso America in Vietnam, che gli attirò obiezioni d'ogni sorta dalla comunità scientifica americana e internazionale. In quel saggio si sosteneva, fra l'altro, che l'esercito americano "non gradiva far fuoco sulle zone abitate dai vietnamiti"; ma pure che "si doveva combattere il nemico laddove si trovava, nelle cittadine e nei villaggi che sceglieva come teatri di battaglia". La conclusione era chiara: "Lo slogan 'mai più Vietnam' non è soltanto d'incoraggiamento al disordine internazionale, ma è anche contrario ai valori americani".
L'ultimo suo libro è questo The Armenian Massacres in Ottoman Turkey, pubblicato dalla Utah University Press nel 2005 e prontamente presentato da Einaudi con una traduzione ottima. Il sottotitolo editoriale Un genocidio controverso è peraltro del tutto conveniente all'atteggiamento che Lewy esprime in maniera men che celata nella prefazione. A p. X viene indicata come "penoso cammino tra montagne e lande" la deportazione degli armeni dalla Turchia; e a p. XV si supera l'impasse sulla questione del genocidio, dichiarando, con disarmante sincerità, che "la definizione di che cosa sia un genocidio (
) è spesso tutt'altro che semplice" e ha perciò "più che altro a che fare con le persistenti polemiche fra turchi e armeni". Sarà pure così, ma Lewy non può non dedicare al genocidio controverso due capitoli (il V e il VI, per un totale di sessanta pagine circa), nei quali si rivela senz'altro un brillante intellettuale e polemista della destra ebraica, volto a difendere l'unicità della Shoah come evento genocidario, una tesi che certo può e deve essere sostenuta, ma verosimilmente non al prezzo di assecondare una vulgata negazionista in merito ad altri genocidi. I due capitoli mancano purtroppo di riportare alcune testimonianze assai note che potrebbero rendere il genocidio armeno oggetto di studio senza cautele più o meno motivate. Fra queste, una è quella di Giacomo Gorrini, primo direttore dell'archivio del ministero degli Esteri e, dal 1911 al 1915, console italiano a Trebisonda, il quale, nel suo memorandum per il trattato di Sèvres, del 1920, scriveva: "Se non si risolve ora, e anche in parte, la questione armena, essa riaffiorerà e turberà l'ordine mondiale nel corso del tempo". Sia comunque concesso a Lewy di non riportare opinioni parziali e si vagli, per esempio, la bibliografia da lui addotta. La documentazione citata ha dimensioni modeste: una trentina di titoli. Vahakn N. Dadrian, nella sua Storia del genocidio armeno (Guerini e Associati, 2003) ne elenca oltre un centinaio, alcuni dei quali di notevole rilevanza ai fini della ricostruzione imparziale che Lewy si propone (fra questi, almeno i cinque volumi dell'Istiklăl harbimiz di Kazim Karabekir Pasha, che raccolgono la corrispondenza fra il comandante in capo dell'esercito di Ankara e il suo governo centrale; o, da parte francese, i Documents diplomatiques français 1897-1914).
Passino tuttavia anche queste lacune; Guenter Lewy stesso, d'altronde, eleggendo Dadrian a suo interlocutore e competitor esplicito in queste pagine, ne trova altrettante nel lavoro dello storico armeno. Sorprendono però, oltre ogni ragionevole dubbio, alcune prese di posizione di Lewy, che si pongono in una curiosa mezza via fra il parere pro veritate e il giudizio storico. Per tutte: a p. 333, in clausola del penultimo capitolo si legge: "I timori che la popolazione armena costituisse una quinta colonna furono probabilmente esagerati, ma non erano certo privi di qualsiasi base di fatto". Accertato che questo è uno fra i presupposti da cui parte la storiografia turca del conflitto, sarebbe stato utile se Lewy avesse fornito nella sua ricerca almeno alcune delle "basi di fatto": il che, con ogni evidenza, non è. Anche altrove, del resto, il massacro sembra avere una giustificazione.
Il volume di Guenter Lewy ha riscosso consensi sulle pagine culturali dei quotidiani turchi e suscitato risposte veementi da parte degli storici armeni. L'editore Einaudi, che pubblicò la Storia degli ebrei sotto il fascismo di De Felicepreceduta da un'acre prefazione del maestro Delio Cantimori, tace ora sulle opinioni di Lewy e lo rende noto al pubblico italiano con un apparato paratestuale che ignora persino la sua collaborazione alla rivista "Foreign affairs". Erano però altre stagioni editoriali e politiche, che varrà forse la pena di rimpiangere.
Giovanni Choukhadarian
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