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È probabilmente sin da quando siamo dotati di autocoscienza individuale e collettiva che discutiamo sul rapporto, in noi e negli altri esseri viventi, fra materia e spirito, anche se attribuiamo a questi due termini significati spesso molto diversi. Soprattutto in campo spiritualista la discussione è talmente difficile e aspra da avere sfociato durante tutta la storia umana in guerre, massacri, emarginazione di intere collettività. Anche in campo materialista le cose non sono state così semplici come sembrerebbe, soprattutto negli ultimi due secoli in cui si sono confrontate diverse correnti di pensiero all'interno e all'esterno delle cosiddette "scienze della vita".
Una di queste, il meccanicismo, le cui fortune sono aumentate rapidamente con le rivoluzioni industriali, appare oggi dominante, più che nella biologia contemporanea, nelle discipline applicative di area biologica, nei mezzi di comunicazione di massa e nella scuola. Il paradigma meccanico si basa sull'affermazione dell'equivalenza della vita non alla materia in senso generale, ma alla parte di essa che è stata ordinata dall'uomo su progetto, e cioè alle macchine. Il meccanicismo è stato variamente contrastato fin dalla sua nascita anche dal versante scientifico, ma, a partire dal Novecento, su posizioni minoritarie. Il libro di Giorgio Israel, uomo di scienza lui stesso, rappresenta una forte novità da questo punto di vista, in quanto denuncia con chiarezza la natura ideologica (non scientifica) della versione attuale del meccanicismo, sulla base della sua incapacità di spiegare da sola la natura e la dinamica dei diversi livelli di organizzazione della vita, e in particolare l'umanità individuale e collettiva degli appartenenti alla nostra specie.
L'attacco di Israel, si badi bene, non è rivolto all'applicazione del metodo riduzionista di indagine biologica, che si basa sulla semplificazione dell'analisi dei sistemi viventi complessi mediante la loro scomposizione in parti conoscibili una a una. È diretto invece all'ideologia riduzionista che sostiene, in modo spesso dogmatico, che la conoscenza delle caratteristiche dei componenti di un sistema è da sola sufficiente a spiegare il tutto e trarre dalla spiegazione leggi universali compiute ma tematizzabili. A questo proposito Israel afferma nell'introduzione che "siamo convinti che l'affermazione di una visione autenticamente razionalistica e scientifica passa attraverso l'assunzione di un approccio fenomenologico e attraverso il rifiuto di presentare come risultati scientifici oggettivi le varie ideologie metafisiche, esplicite o latenti che esse siano". Questa posizione viene confermata nelle conclusioni: "Non senza ribadire un'idea che è uno dei motivi ispiratori di questo libro e cioè che la migliore difesa della razionalità scientifica passa attraverso l'abbandono di mitologie e fedi riduzionistiche ed il recupero di una visione autenticamente umanistica della conoscenza".
È partendo da quest'ultima tesi che, con un'aperta provocazione, Israel illustra l'esistenza di diverse "legalità" nei diversi livelli di organizzazione della vita, utilizzando un esempio tratto dalla tradizione ebraica della Kabbalah, tradizione teologico-filosofica parallela, complementare e non contrapposta a quella della religione ufficiale, la Halakhah. Giova ricordare che l'"Entità divina" della Kabbalah (Ein Sof) è multiforme e diversa dal Dio delle attuali religioni monoteiste, tanto da non possedere, secondo una delle correnti di pensiero, una vera e propria volontà antropomorfa. La creazione, sulla discussione della quale verte molto del dibattito cabalistico, è un processo complesso di "coagulo" materiale ed energetico delle "emanazioni" di Ein Sof (le Sephirot). Queste sono ordinate gerarchicamente e le caratteristiche delle "anime" dei diversi livelli di "organizzazione" che ne derivano sono nettamente distinte. A partire da questo contesto, Israel, sottolinea che nell'uomo, oltre a nefesh, l'elemento informatore del livello elementare della vita che la distingue dalla non vita, sono presenti anche ru'ah e neshamah, due stati gerarchicamente superiori ("il pensiero o anima superiore che vive nel mondo della creazione e quindi è la più vicina alla sfera divina").
Il richiamo a concetti che derivano da una tradizione religiosa non è che la partenza del ragionamento di Israel, che accusa i sostenitori del riduzionismo e della totale certezza e oggettività della scienza di sostituire la fede in questa alla fede in Dio, determinando il ritorno a una concezione antropocentrica estrema dopo il suo indebolimento con la rivoluzione copernicana. Che il principio di certezza sia del tutto pretestuoso è poi dimostrato da Israel proprio scorrendo la storia mutevole delle numerose metafore che sono state usate come dimostrazione della natura "macchinistica" della vita. "Di fatto la storia della idea della macchina vivente è, in larga misura, nient'altro che la storia della relatività della concezione di meccanismo e di macchina sia nella scienza che nella tecnologia". E in realtà, se si guarda bene, le metafore usate prima per spiegare in modo comprensibile le caratteristiche della vita e poi deificate sono cambiate con il tempo proprio seguendo le immagini delle diverse macchine via via costruite da parte degli esseri umani. Si va dalle metafore delle macchine idrauliche e degli orologi di Cartesio, all'assemblaggio di molle e ingranaggi di de La Mattrie, agli animali meccanici del Settecento, alle macchine chimiche ed elettromeccaniche dell'Ottocento, a quelle cibernetiche del Novecento, per finire con la macchina informatica, ancora dominante nell'immaginario scientifico della biologia del nostro tempo.
Non a caso, la costruzione di quest'ultima metafora ha come base quello che è stato definito dal suo stesso autore, Francio Crick, il "dogma centrale della genetica molecolare". Probabilmente farà piacere a Israel vedere confermare da un biologo come chi scrive che anche questo dogma sta vacillando sotto i colpi della dimostrazione dell'ambiguità, versatilità e dipendenza dal contesto dei geni e delle loro funzioni, che ci viene dallo studio integrato dei genomi e degli altri livelli di reti biologiche. È del resto proprio la dipendenza dal contesto interno ed esterno che rende fragile l'interpretazione degli esseri umani come macchine completamente determinate da un programma costruito a priori, e l'equiparazione del funzionamento del cervello a un meccanismo completamente "controllato" da alcune piccole molecole anch'esse agenti secondo programma. Questo senza nulla togliere proprio al metodo riduzionista, il solo canape di fornire gli strumenti semplificatori necessari per chiarire la natura non riducibile dei sistemi biologici complessi.
Le affermazioni di Israel si fanno ancora più nette quando passa all'analisi dei sistemi sociali: "Un sistema sociale non si riduce mai soltanto a un insieme di individui, ma è anche un contesto, e questo è dato in modo almeno parzialmente indipendente dai singoli individui. Oltretutto, questo contesto non è dato una volta per tutte ma evolve nel tempo e in funzione di fattori che non sono tutti contenuti nella definizione del sistema. In altri termini si tratta di un sistema aperto". Per questo e per l'impossibilità di evitare, nella descrizione dei comportamenti umani individuali e collettivi, categorie come la soggettività, l'iniziativa e le scale di valori o, se si vuole, di utilità, è profondamente errato considerare le dinamiche sociali come a priori completamente determinati da leggi ma tematizzabili a volontà. In conclusione, il concetto di macchina vivente appare contraddittorio in sé stesso proprio perché i sistemi viventi, e in particolare gli esseri umani, sono profondamente diversi dalle macchine da essi costruite.
Vorrei terminare questa recensione di un libro tanto stimolante con un'ultima ma non irrilevante osservazione. All'inizio di questa recensione ho deliberatamente fatto notare che il meccanicismo è solo una variante del materialismo, e cioè delle concezioni che partono dall'affermazione della natura materiale degli esseri viventi. La sua contestazione è quindi altra cosa da un attacco al materialismo in quanto tale, al cui interno ci sono state e sono tuttora presenti una serie di altre linee di pensiero sia scientifico che filosofico, i cui esponenti rivolgono al meccanicismo obiezioni spesso molto simili a quelle di Giorgio Israel. Sebastiano Timpanaro, Marcello Cini, Elena Gagliasso in Italia, Lewontin, Rose, Gould, Edelmann, lo stesso Gragory Bateson, per citare solo alcuni nomi, sono tutte persone che, insieme a molte altre, si sono occupate di epistemologia e filosofia della biologia in modi diversi e con risultati diversi. In ambito scientifico, in particolare, esiste una letteratura molto ampia che critica l'impostazione ideologica e dogmatica del "dogma centrale" e di tutti i suoi derivati, senza tuttavia puntare ancora una volta a sostituire dogma con dogma, ma traendo anzi proprio dallo studio della multiversa "materia vivente" spunto per l'abbandono del concetto stesso di dogma nella scienza tutta e in quella degli esseri viventi in particolare. Questo per riaffermare, come Israel fa, ma molto timidamente, che non è necessario essere spiritualisti o vitalisti per criticare la visione meccanica della vita e che combattere l'ideologia riduzionista non significa in alcun modo sconfessare la natura materiale dei sistemi viventi.
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