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Un padre racconta ai figli, che glielo hanno chiesto, quello che ricorda dei suoi primi dodici anni, di cui loro non sanno quasi nulla. Storie troppo remote, pensa. Che differenza poteva esserci, in fondo, ai loro occhi, fra Firenze durante la guerra, dove era cresciuto, e per esempio la steppa dell'Oltre caucaso di Florenskij, alla fine dell'Ottocento? Non molta. Apparteneva tutto a quell'età incerta e fumosa che precedeva la loro nascita. E poi, da dove cominciare? La prima immagine della guerra, intravista dalla finestra di una soffitta clandestina nel centro di Firenze. La vecchia villa di San Domenico, dove un mattino, a seguito dell'assassinio di Giovanni Gentile, suo padre viene arrestato come pericoloso antifascista. Il polverio che sale dalle macerie di Por Santa Maria, subito dopo che i tedeschi hanno fatto saltare i ponti. Poi i giochi – e i libri che impercettibilmente ne prendono il posto. L'immersione nella letteratura e la scoperta della musica. E Firenze, quella Firenze degli anni subito dopo la guerra, separata da tutto, anche dal resto dell'Italia. Una lastra impenetrabile e trasparente confermava quella convinzione della città di essere a parte. E un giorno, forse anche prima di saper leggere, chi scrive dichiara che il suo vero nome è Memè Scianca.
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Un libro nato da un'occasione particolare ed intima, un libro per Josephine e per Tancredi. Un libro in cui il Grande Editore salda un debito contratto in gioventù con l'opera di Marcel Proust: un libro proustiano, con tutto ciò che ciò comporta, con i sui pro e i suoi contro, dunque. Un libro di cui, però, essere grati al suo autore.
Essere invitati in un libro di memorie è sempre bello. Di certo si dovrebbe apprezzare il dono dell'invito perché una memoria è un luogo sacro che ospita il privato e il personale. Anche un animale di pezza può essere un totem per chi lo ha avuto accanto e non solo essere considerato a posteriore come una misera pezza con forma tangibile ma dal senso banale. Entrare in una memoria è come un rito di accettazione di simboli arcani e sconosciuti che diventano, per il breve tempo concessoci a seguirli, come irti cammini da percorrere cercando di ricordare certi passi seguiti da altri passi. Il ricordo concessoci, quello altrui intendo, è sacro e dunque da rispettare sempre, anche quando lo riteniamo banale ed inutile, proprio perché non nostro e dunque per noi, distaccati, giudicato spietatamente a torto come banale ed inutile. Calasso, Memè Scianca, nome datosi da ragazzino ma con un significato oramai perso nel tempo, ci introduce in queste sue memorie raccontateci come ai figli, con una premessa da non dimenticare a nostra volta leggendolo: "La memoria è fatta in prevalenza di buchi, come un territorio crivellato di crateri vulcanici oramai inattivi", perché qualsiasi progressione lineare tende a sfigurare gli elementi incorporati in quello sforzo di creare una narrazione. E infine: "Mancano i testimoni, ogni frammento che affiora potrebbe essere abbandonato a una totale inesistenza. E certamente chi scrive dubita di ogni parola che scrive." Grazie Calasso per averci invitato nel frammento, nel dubbio, in ciò che svanisce.
Un libro mancato. Promette con simpatici ricordi di animaletti di pezza e vecchie nutrici, ville in tempo di guerra e libri amati, poi il solito balletto di amici di famiglia colti e raffinati .... e poi? Della vita infantile di questo Memè non rimane nulla e a noi rimane lo stupore che si possa pubblicare questo aborto. Rimane una considerazione: dai libri ampollosi e sterminati di Calasso viene fuori questo piccolo residuo, come un esito stitico di tante roboanti parole.
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