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Questo libro di Georges Banu può fornire a distanza di tanti anni una chiave di lettura di quello spettacolo relegato nell'apprendistato di un autore che tanti e più fiammeggianti spettacoli avrebbe inventato. Iniziando dal titolo le Memorie sulle quali Banu modella il suo viaggio nel teatro – scandito da inserti di cronaca carichi di forti valenze evocative e narrative – sono tre quella dell'io quella del teatro e quella delle origini. Il viaggio conoscitivo/narrativo dell'autore prende le mosse da una domanda critica preliminare: "A chi parla questo spettacolo? Alla sala o al mondo di fuori?" che significa: siamo di fronte a un teatro della memoria o della storia? Nella visione di Banu il teatro della storia intende il tempo come esperienza interna all'individuo quello della memoria lo percepisce come esperienza costitutiva. La riflessione dell'autore mostra scarso interesse per il concetto di avvenire che sembra implicito nel teatro della storia e si posiziona invece nel presente ("A teatro l'orizzonte è il presente e il materiale la memoria") nel quale spiccano due figure di forte carica allegorica: il Museo luogo della memoria che il regista gestisce come un sovrintendente scegliendo e rimontando creativamente i reperti e la Psicoanalisi come metafora del rapporto regista/attore (due coppie lavorano in parallelo con totale autonomia e al tempo stesso con felice coincidenza strategica Freud-Fliess e Stanislavskij-Dantchenko).
L'allegorico Museo di Banu nel suo continuo divenire è il luogo più omogeneo al processo di andata e ritorno della memoria del teatro la cui opera di creazione assomiglia alla risacca del mare che raccoglie trasforma rielabora i materiali nel suo incessante lavoro presente. Ritornando al giovanile Gregorio Carmelo Bene iniziava il suo viaggio da una negazione – dell'Ottocento dell'Accademia… – senza sapere che tutta la sua opera successiva si sarebbe svolta nei meandri della memoria o per restare a un'immagine che Banu sceglie come icona e viatico in quello spazio nel quale Kantor colloca la sua Classe morta luogo in cui il tempo diventa circolare: "Un bambino ci ha fatto nascere. Siamo i figli di un bambino – e il padre o la madre di un vecchio".
Alberto Gozzi
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