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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2013
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I corsi universitari e le lezioni di un grande filosofo non foss'altro che per l'immediatezza del linguaggio utilizzato mostrano quella che possiamo definire la trama metodologica di un pensiero in fieri. Il corso universitario del 1965 dedicato al significato e alla problematizzazione del concetto di Metafisica, presentato con l'eccellente prefazione di Stefano Petrucciani, evidenzia i risultati del serrato confronto che Adorno conduce con la tradizione filosofica occidentale, mentre proprio nel periodo del corso universitario sulla Metafisica il filosofo francofortese lavorava alla Dialettica negativa.
Mentre Heidegger, a partire da Was ist Metaphysik? (1929), aveva posto come inevitabile l'esigenza di un "oltre" della metafisica, nel tentativo di effettuare un oltrepassamento della metafisica occidentale attraverso la distruzione dei suoi cardini teoretici sul solco di una personale interpretazione nietzschiana, il percorso che Adorno compie procede all'opposto di quello heideggeriano. Adorno non pensa ad alcun "oltrepassamento", semmai cerca di recuperare quello che può essere il senso autentico della metafisica svincolata da ogni trascendenza, collocando la domanda "che cos'è metafisica?", nell'alveo di un pensiero dialettico che continuamente mette in evidenza la differenza tra fenomeno ed essenza.
In questo senso, il filosofo tedesco sostiene, già nelle prime lezioni (con stupore dei suoi ascoltatori), che il primo pensatore metafisico non è né Parmenide né Platone bensì Aristotele. È lo stagirita, infatti, secondo Adorno, a porre in tutta la sua problematicità il nucleo logico della differenza nell'oppositività tra apparenza ed essenza, cercando tramite la critica a Platone "di strappare l'essenza al mondo sensibile, al mondo dell'esperienza, e proprio così di salvarla". Qui si pone in evidenza il tema del particolare e dell'universale, che è centrale nel pensiero adorniano e che ritorna nelle lezioni del 1963 dedicate alla morale (Probleme der Moralphilosophie). Aristotele affronta la questione apparenza/essenza, universale/particolare cercando, a differenza di Platone, un cardine esperienziale-materiale del dato sensibile. Aristotele, scrive Adorno, "dice che solo il particolare è sostanziale rispetto all'universale; che solo il singolo fenomeno concreto che appare è reale, ma, nello stesso tempo, "ha posto le forme, i concetti, come qualcosa di eterno e immutabile", lasciando aperta per il pensiero successivo la fruttuosa contraddizione insita nella dialettica.
Non a caso si è citato il corso del 1963 sulla questione dell'etica, perché ritorna, in questo volume, nell'ultima parte dall'emblematico titolo Metafisica dopo Auschwitz. "Se volete afferma Adorno potrei dare a questo discorso una piega filosofico-morale e dire che Hitler ci ha imposto un nuovo imperativo: semplicemente questo, che Auschwitz non si ripeta e che non ci debba essere più niente di simile. È impossibile fondare questo imperativo, e ciò lo accomuna a quello kantiano". Ma il "particolare" di un'esperienza storica così devastante come la Shoah contraddice in maniera inesorabile l'"universale" del mandato categorico kantiano per cui la "volontà buona" dev'essere comandata dalla ragione. Qui si frappone il disincanto che fa uscire l'essere umano dall'età sognante della modernità, dall'illusione del suo inarrestabile progresso, proiettandolo nella tragicità di ogni presente. Qual è, scrive Adorno, il compito della filosofia? La filosofia deve mostrare le latenze, deve manifestare le contraddizioni e stare proprio lì "dove c'è la carogna, la puzza, la putrefazione". Questo è l'indicibile metafisico di Auschwitz e anche a ben pensare , come scrive Adorno, l'"impotenza della metafisica della morte".
Gianluca Giachery
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