La crisi degli ultimi anni ha coinvolto anche il settore editoriale e pubblicitario e ha portato, nel 2009, alla chiusura della storica agenzia fotografica Grazia Neri. Dei dieci milioni di immagini dell'archivio, una parte è stata restituita ai proprietari mentre alcuni fondi sono stati depositati presso il Museo della fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo (anche questo alle prese con una crisi che in Italia non è mai solo economica). Ora ci sono i "supermercati della fotografia", come Corbis e Getty, che occupano il 60 per cento del mercato definendo i costi attraverso il web, il resto è rintracciabile a volte gratuitamente nella stessa rete. Neanche all'estero quindi la situazione è facile e diverse agenzie hanno già chiuso i battenti. Il problema, però, non nasce solo dalla comprensibile volontà di risparmiare sui costi o da un supposto declino portato dal digitale, ma dall'assenza in Italia di una reale volontà (innanzitutto pubblica prima che privata) di sfidare le novità per fare cultura e fare mercato. A questo va aggiunto il disinteresse ormai quasi totale della nostra stampa per il reportage fotografico. Eppure non è un libro nostalgico quello in cui Grazia Neri racconta la sua esperienza. È una storia di imprenditoria al femminile in un settore, al momento della nascita dell'agenzia, gli anni sessanta, quasi inesistente; fino ad allora c'erano state agenzie come Fotovedo o Publifoto, ancora legate a un realismo documentario che in Europa aveva ormai lasciato il posto al moderno reportage di ampio respiro: da noi lo capirono "Epoca" o "L'Espresso" e, sul piano dell'offerta, la giovane Grazia Neri, che compì una coraggiosa operazione di sprovincializzazione della nostra cultura visiva. "Affascinata", come dice, dalla commercializzazione della fotografia, si dedica anima e corpo al settore qualitativamente molto disomogeneo del fotogiornalismo, allora ignorato dalla critica italiana, concentrata sui lavori artistici e amatoriali. Inizia a lavorare con le agenzie e i fotografi stranieri e negli anni settanta anche con gli italiani (Mario Dondero, Elisabetta Catalano, Uliano Lucas, Carla Cerati, Ugo Mulas, Lisetta Carmi, Carlo Cerchioli, ecc.), bravissimi, impegnati socialmente o politicamente, ma digiuni, al contrario dei loro colleghi europei e americani, sia di mercato che di copyright. Assume un ruolo perfino pedagogico con i giovani, filtrandone gli ego a volte sproporzionati. Rappresenta Yousuf Karsh, Annie Leibovitz, Herb Ritts e tanti altri e agenzie celebri come Vu', Black Star, Afp, Gamma, Sygma e Sipa. Ha un rapporto privilegiato con la Francia, "capitale, del fotogiornalismo", dove "Paris Match" negli "anni d'oro del reportage" (1968-1985 secondo l'autrice) paga per le fotografie i prezzi più alti del mondo. È un approccio pragmatico all'uso della fotografia, dove conta la funzionalità e la valutazione artistica viene dopo. Ma perché servivano le agenzie? Perché c'era domanda di immagini e tanto valeva fornirne di qualità. Lo capì Hubert Henrotte, il trentenne cofondatore nel 1967 della francese Gamma, che previde l'aumento di richieste di foto di attualità, spettacolo, scienze e il fatto che un'agenzia avrebbe evitato agli editori di sostenere il costo di fotografi inviati in ogni parte del mondo. Lavorare per il mercato delle immagini non è immorale, è difficile. Gabriele D'Autilia
Leggi di più
Leggi di meno