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La libertà di fare poesia ciò che si vuole. La vita è luce irradiata e Pozzi imprime lo splendore sulla pagina
Le prime poesie (seguendo l’ordine cronologico) sono quelle che forse lasciano una più vivida impressione. La giovinezza si accompagna ad un’acuta sensibilità, alla percezione della distanza dolorosa tra il desiderio e la vita, pure mai rinnegata, ma sempre inseguita, cercata nella bellezza di un paesaggio di montagna come nella completezza di un amore non realizzato. La tensione verso un Altro divino silente o verso un figlio solo immaginato produce versi laceranti. Fiori, tramonti e cime restituiscono una serena malinconia che resta però vitale, senza cedere all’autocommiserazione. Antonia Pozzi voleva una vita piena, un amore ricambiato, non si è accontentata dello scorrere dei giorni che dovrebbe rendere ragionevole il dolore della mancanza.
A partire dalla fine degli anni ’80 si sono intensificati studi, convegni, edizioni degli scritti di Antonia Pozzi (Milano, 1912-1938), quasi a voler risarcire il silenzio, l’indifferenza e le censure seguite alla sua tragica fine. I critici ne hanno spesso interpretato tendenziosamente sia l’opera sia la biografia, chi facendone un vessillo di indipendenza femminista, chi decantandone l’ansia di assoluto e di ricerca spirituale. Coesistevano probabilmente entrambi gli aspetti, nel temperamento e nella produzione letteraria di Antonia, come si può dedurre dalle sue lettere e dai versi, amorosamente appassionati e insieme nobilmente ascetici: "Guardami: sono nuda. // … Vedi come incavato ho il ventre. // … Oggi, m' inarco nuda, nel nitore / del bagno bianco e m' inarcherò nuda / domani sopra un letto, se qualcuno / mi prenderà", “Io non devo scordare / che il cielo / fu in me”, “Afferrami alla vita, / uomo. Passa la nebbia / e lambe e sperde l’incubo mio folle”, “Signore, per tutto il mio pianto, / ridammi una stilla di Te / ch’io riviva”. La giovane casa editrice InternoPoesia ha da poco pubblicato Mia vita cara. Cento poesie di amore e di silenzio, a cura di Elisa Ruotolo, selezionando le liriche in ordine di composizione, dal 1929 al 1938. Vi sono raccolte le più note ed emblematiche, con la prevalenza di temi sentimentali: e sono pagine commoventi e accorate, in cui il desiderio di fusione e completa dedizione all’amato si confonde con l’acuta necessità di sentirsi protetta, abbracciata, difesa dai propri incubi. Solo la poesia riesce a trasfigurare una realtà che si esibisce aggressiva e ingiusta, e nella poesia Antonia crede come viatico e benedizione. La vita troppo amata non si fa perdonare quando tradisce le aspettative: “Per troppa vita che ho nel sangue / tremo / nel vasto inverno”. Eppure, è amata comunque, regalo riconosciuto persino quando la si abbandona: “oh, per averti sognata, / mia vita cara, / benedico i giorni che restano”.
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