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In questo saggio il confronto tra la grande emigrazione e gli odierni flussi migratori si muove lungo gli itinerari e gli interrogativi delle discipline che hanno da sempre affrontato la mobilità territoriale: la demografia, con i quesiti sulla quantificazione dei flussi; la geografia, con l'attenzione alla traiettoria delle partenze e alla fenomenologia degli arrivi; l'economia e la sociologia, con obiettivi volti all'identificazione socio-professionale dei migranti, ai loro rapporti con i mercati del lavoro e con le organizzazioni sindacali; la giurisprudenza e il diritto, attenti alle politiche migratorie dei paesi di partenza e di arrivo nonchè alle forme della policy ; e, infine, l'antropologia, con l'interesse verso i comportamenti delle famiglie e dei gruppi, le dinamiche degli incontri e degli scambi culturali.
Quali sono le affinità e le distanze tra vecchi e nuovi flussi migratori, all'interno delle domande sollevate dalle diverse discipline? A tale interrogativo l'autore fornisce risposte argomentate e convincenti, seppure mettendo in guardia sulle inevitabili difficoltà presenti nella comparazione di fenomeni talora incommensurabili per la distanza temporale e per la dispersione territoriale di fonti e strumenti di rilevazione.
Affinità e reiterazioni sono ravvisabili soprattutto se si presta attenzione alla scala micro dei comportamenti individuali e familiari, delle catene migratorie, delle opzioni riguardanti l'economia delle rimesse, delle dinamiche generazionali, della costruzione, elaborazione e negoziazione delle identità plurime o dei riferimenti transnazionali, ben presenti nell'esperienza dei migranti assai prima della globalizzazione. Le distanze si rivelano invece nei fenomeni osservabili attraverso la macroanalisi delle discipline giuridiche, politiche ed economiche. Tra le novità di oggi va annoverata una presenza più consistente della criminalita organizzata, una variabile alla quale si correlano novità non meno importanti, come gli interventi di controllo e di proibizione dei movimenti da parte di istituzioni nazionali e sovranazionali, praticati in modo assai più restrittivo che in passato. Sul piano economico si impongono inoltre le nuove regole di un mercato incapace di mettere in moto quelle osmosi regolative di risorse, manodopera e livelli salariali che hanno caratterizzato l'economia atlantica. Mentre sul piano organizzativo e sindacale appaiono ancora più difficili quelle conquiste storiche che hanno posto un freno alle ineguaglianze economiche e giuridiche tra le più svantaggiate aree di partenza e le più fortunate aree di arrivo.
Gli unici squilibri che le migrazioni sembrano in grado di colmare, oggi, riguardano l'assetto demografico di una realtà internazionale nella quale all'invecchiamento delle società di accoglienza fa da contrappeso l'apporto decisivo delle popolazioni giovani delle aree di partenza. Al ridimensionamento di tale squilibrio, vantaggioso per le une, non corrisponde tuttavia una parallela opportunità per le altre; non solo i giovani che abbandonano i propri paesi sono talora i detentori di qualifiche e di livelli di istruzione che difficilmente potranno trovare un ricambio e ridurre così il processo di impoverimento delle aree di partenza, ma le riconversioni economiche dei redditi prodotti all'estero non sembrano in grado di apportare risorse davvero significative per bilanci pubblici già così precari.
In un mercato internazionale del lavoro dove i settori di attività coincidono quasi esclusivamente con i segmenti del terziario, una delle novità più positive, nel quadro attuale, è la più consistente presenza della manodopera femminile. A tale novità si affidano anche le speranze per il futuro: grazie alla presenza delle donne e agli insediamenti più stabili delle famiglie saranno facilitate le dinamiche generazionali e con queste i processi di interazione e di scambio con le differenti società di arrivo.
Paola Corti
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