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Il bel titolo di questo volumetto di poesie di Luca Vaglio (Dervio 1973) introduce a un ambiente metropolitano e grigio, quello piuttosto anonimo dei bar di una Milano indifferente e insieme magica ("attorno ciao e niente e silenzio"), vissuta tra Lambrate e Via Solari, Città Studi e Via Torino, e osservata nel muoversi vuoto, impersonale di avventori disillusi, che bevono vodka o birra, mangiano fusilli sconditi, ascoltando musica jazz in un'atmosfera di assoluta incomunicabilità, all'interno di locali tristi. Questa Milano "così bella e ruvida" è abitata da individui impauriti, tra cui l'autore si muove come un osservatore prosciugato ("mi sento quasi un evaso/ da non so bene dove"; "tutte queste cose,/ incluso l'amore sprecato e quello mancato,/ mi fanno poco male"; "sono quasi felice/ ma non sono sicuro/ se questa liberazione dagli altri/ questa vita mercuriale/ è tutto quello che devo fare"), tracciando tuttavia nei versi un percorso discreto, gentile, di avvicinamento a sé e al mondo. Un tentativo di recupero di significato (dell'esistenza, del dolore, del sentimento) che sembra più riuscito là dove si esprime con la stessa amara oggettività delle due belle fotografie in bianco e nero di Ugo Mulas che corredano il libro (e che ricorda forse lo stile pacatamente constatativo di un altro poeta vivente a Milano, Umberto Fiori), e invece rischia di perdere intensità quando tenta registri più ispirati e metafisici ("della dissolvenza/ della fine che tiene dentro il germe/ primordiale del principio che sarà/ soltanto se il sé si riconosce/ e poi ammette di essere diverso da sé..."). La striminzita nota finale di Guido Oldani risulta invece alquanto superficiale e supponente, nel suo "pensare quasi shackespirianamente (sic!!!) intorno all'esistere o invece no": una caduta di stile per chi da poco si è espresso criticamente nelle elevatezze de "Il realismo terminale" e de "La faraona ripiena".
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